Bruxelles – Nel pieno di una crisi politica, militare e umanitaria, al Berlaymont si va in ordine sparso su una delle questioni più delicate che riguardano la Palestina: i fondi del budget Ue a sostegno del popolo palestinese. Dopo la confusione creata ieri (9 ottobre) dal commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi, per un post pubblicato su X “senza essere preceduto da alcuna consultazione con altri membri del Collegio” (testuali parole dei portavoce della Commissione), l’esecutivo comunitario cerca di riportare la calma almeno su questo tema. “Dobbiamo guardare più approfonditamente al nostro supporto alla Palestina“, ha spiegato oggi (10 ottobre) nel punto quotidiano con la stampa di Bruxelles il portavoce-capo, Eric Mamer: “Fare una revisione significa che mettiamo tutto sul tavolo e lo controlliamo, ma non sospenderemo nulla finché non è finita la revisione“.
Ma di quali e quanti fondi si tratta? Come emerge dalle tabelle della Strategia comune europea per la Palestina, nel periodo 2021-2024 sono previsti 1,17 miliardi di euro direttamente dal bilancio Ue (nel Quadro finanziario pluriennale che terminerà nel 2027, mentre devono ancora essere stabilite le assegnazioni per il secondo periodo 2025-2027) che dovrebbero servire come “ombrello strategico per i piani di programmazione e attuazione bilaterali” dei Paesi partecipanti. Vale a dire Italia, Austria, Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Irlanda, Lituania, Malta, Repubblica Ceca, Norvegia, Paesi Bassi, Spagna, Svezia e Svizzera, oltre alla stessa Commissione Europea. I fondi servono a finanziare programmi in 13 aree operative, divise in 5 pilastri: democrazia, Stato di diritto e diritti umani, riforma della governance, consolidamento fiscale e politica, fornitura di servizi sostenibili, cambiamento climatico, accesso a servizi idrici ed energetici autosufficienti, e sviluppo economico sostenibile. Più nello specifico sono stati previsti da Bruxelles 25 milioni di euro per il primo pilastro (Stato di diritto), 222,5 per il secondo (governance), 248 per il terzo (servizi), 147 per il quarto (cambiamento climatico) e 133,5 per il quinto (sviluppo sostenibile), oltre a 353 milioni per i rifugiati e l’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione (Unrwa) e 48 milioni a Gerusalemme Est.
L’obiettivo dichiarato nero su bianco dall’Unione Europea è quello di “proteggere la fattibilità della soluzione dei due Stati con uno Stato palestinese indipendente, democratico, contiguo e vitale, che viva fianco a fianco in pace e sicurezza con lo Stato di Israele”, si legge nella Strategia, che ribadisce il sostegno “da oltre 20 anni” alla costruzione e lo sviluppo di un’entità statale palestinese attraverso la leva del supporto Ue e delle riforme stimolate da questi investimenti. Va ricordato in particolare che il primo interlocutore di Bruxelles è l’Autorità Nazionale Palestinese – “che non va confusa con Hamas”, ha puntualizzato da Muscat (Oman) l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell – in particolare per quanto riguarda il “Piano di sviluppo nazionale palestinese e le relative strategie settoriali approvate nel marzo 2021”. I fondi Ue affrontano per questo motivo “priorità trasversali“: costruzione di istituzioni statali credibili, fornitura di servizi soprattutto ai cittadini vulnerabili, strozzature della sicurezza idrica ed energetica, investimenti nell’agricoltura. Spicca – in questi giorni in cui la Striscia è al centro di uno scenario di guerra come non si vedeva da decenni – il riferimento al “quadro politico, di riforma e di ripresa trasformativa per Gaza che si prevede prenderà forma“. Il piano Ue spinge anche diritti umani, uguaglianza di genere, emancipazione femminile e giovanile, cultura e società civile.

Ad anticipare i tempi (prima del Consiglio Affari Esteri informale di oggi in videoconferenza) e mettere in difficoltà la Commissione è stato proprio il responsabile per la Politica di vicinato, con l’annuncio che Bruxelles “rivedrà il suo intero portafoglio di sviluppo, pari a un valore di 691 milioni di euro“. Incalzato dalle domande dei giornalisti, il portavoce dell’esecutivo Ue Mamer ha reso noto che “la questione è stata subito sollevata dalla riunione dei capi di gabinetto che preparano il collegio” e che si è registrato un “forte consenso sul fatto che la situazione sul terreno è evoluta”. Per questo motivo il Berlaymont valuterà “velocemente” l’assistenza fornita agli attori in Palestina “e in base a questo valuteremo quali passi devono essere compiuti”. Sono i servizi della Commissione a dare conto – e rivelare l’approssimazione – di quei 691 milioni di euro citati dal commissario Várhelyi: 316 milioni nel 2021 (224 all’Anp e 92 all’Unrwa), 283 milioni nel 2022 (186 all’Anp e 97 all’Unrwa), 82 nel 2023 (solo all’Unrwa), di cui solo 463 milioni sono stati effettivamente spesi. Il portavoce-capo ha ribadito quanto già scritto nel comunicato della Commissione a lungo atteso nel pomeriggio di ieri – “al momento non ci sono pagamenti previsti per nessun attore in Palestina” – ma in realtà sono ancora attesi per quest’anno 10 milioni all’Unrwa e 168 milioni all’Anp.
Un’altra questione che solleva perplessità tra gli analisti a proposito della “revisione urgente” dei fondi Ue destinati alla Palestina riguarda il fatto che per la Commissione è necessaria “particolare prudenza” nel valutare a chi sono destinati i finanziamenti stessi. In altre parole, i funzionari Ue devono ricontrollare che alcuni programmi non vadano a sostenere economicamente organizzazioni considerate terroriste come Hamas. Si tratta di una possibilità che sarebbe a suo modo sconvolgente, dal momento in cui la Strategia Ue 2021-2024 riconosce esplicitamente che “l’Autorità palestinese ha solo un controllo limitato all’interno della Palestina” e per questo motivo sono stati integrati tre principi aggiuntivi: “un’unica autorità” in Cisgiordania, nella Striscia di Gaza e a Gerusalemme Est, “sostegno ai rifugiati palestinesi” come beneficiari dei programmi bilaterali e “nesso umanitario-sviluppo e sicurezza/pace”. Un’eventuale decisione politica, non tecnica, di sospensione di determinati programmi e finanziamenti Ue significherebbe implicitamente un fallimento della stessa politica comunitaria nella costruzione dello Stato palestinese.
I fondi del budget non sono gli aiuti umanitari alla Palestina
In questo quadro va tenuto però presente che fondi Ue per l’assistenza alla Palestina sono diversi dagli aiuti umanitari che l’Unione fornisce al popolo palestinese da decenni di crisi non risolta. “C’è una chiara distinzione tra sostegno umanitario e altre forme di supporto dal budget“, ha voluto ribadire il portavoce della Commissione responsabile per il budget e gli aiuti umanitari, Balazs Ujvari, citando il post di ieri pomeriggio su X del commissario per la Gestione delle crisi, Janez Lenarčič: “Il nostro supporto umanitario non è mai veicolato dal governo, ma da partner umanitari, agenzie Onu e Ong sulla base dei principi di imparzialità, neutralità, indipendenza e umanità”. Ecco perché gli aiuti umanitari – cibo, alloggi, acqua, assistenza medica – continueranno “fino a quando sarà necessario”, vale a dire “fino a quando avremo partner sul campo che possono veicolare l’assistenza“, ha messo in chiaro il portavoce.
Per quanto riguarda l’importo in questo ambito, “nel 2023 sono previsti 26,9 milioni di euro” a sostegno di oltre 2,1 milioni di palestinesi in necessità. Oltre l’80 per cento della popolazione della Striscia di Gaza dipende dagli aiuti “a causa delle restrizioni di accesso e delle ostilità, che ne hanno minato l’economia”, precisa la Commissione nella pagina dedicata agli aiuti umanitari per la Palestina. Complessivamente dal 2000 l’Ue ha fornito oltre 853 milioni di euro in assistenza umanitaria, di cui circa 26,5 milioni lo scorso anno (2,1 milioni come contributi esterni di Italia, Spagna, Finlandia e Francia). Nella Striscia di Gaza oggi sotto assedio dell’esercito israeliano, “forniamo alle famiglie vulnerabili colpite da emergenze e shock improvvisi un’assistenza in denaro, aiutandole a coprire le loro necessità di base”, compresa protezione, assistenza sanitaria e istruzione per i bambini.