Alcuni agricoltori europei il primo febbraio hanno messo letteralmente a ferro e fuoco una piazza di Bruxelles, davanti al Parlamento europeo. Hanno bruciato alberi decorativi, hanno bruciato copertoni (questi se li erano portati apposta) e hanno anche abbattuto e tentato di bruciare una scultura in metallo. Non è stato un bel comportamento, certamente è esecrabile, e sarebbe bello scoprire quelli che hanno causato questi danni alla città.
Però ad essere arrabbiati hanno ragione. Il loro lavoro è sempre meno redditizio, sempre molto faticoso, e non riescono, da anni, a trovare le risposte che attendono. Cosa dovrebbe dire un lavoratore che produce latte quando questo gli viene pagato 15, 16 centesimi al litro e poi lo vede in vendita al supermercato a 10, dodici volte quel prezzo? Ed è lo stesso per la carne, per i cereali, per la verdura… E non è questione di avidità, ma è questione che all’allevatore, all’agricoltore, quel prodotto costa di più del prezzo al quale lo vende. E allora, quando ci sono, prende delle sovvenzioni, con le quali sopravvive.
Poi è vero che per i piccoli agricoltori la questione è diversa che per i grandi, che possono fare economie di scala, che hanno produzioni maggiori e possono trattare con maggior forza sul prezzo, e per i quali l’incidenza della burocrazia è meno gravosa. E come è diversa la questione per tutta la lunga filiera che porta quei prodotti sulle nostre tavole, dove ci sono dei giganti in grado di dettare legge, e prezzi.
Il sistema agricolo europeo è basato sulle sovvenzioni, non sul mercato. Un terzo del bilancio dell’Unione europea, oltre 50 miliardi l’anno, va proprio a questo, fondamentale, settore. Anche allo scopo di tenere vive le campagne, di proteggere il paesaggio, di rendere possibile la vita senza che animali potenzialmente pericolosi si riproducano eccessivamente diventando un problema.
“Bruxelles”, che poi non è altro che l’espressione delle volontà dei governi europei, ha una parte di responsabilità per una situazione che sta evolvendo in senso negativo, è evidente. Spesso alcuni accordi internazionali spaventano perché si teme che possano entrare in Europa merci di qualità più scadente rispetto ai minimi legali imposti da queste parti. Ma le proteste di questi giorni nascono soprattutto da altro, da situazioni nazionali, come il prezzo del gasolio agricolo in Germania, o le soglie di inquinamento nei Paesi Bassi. L’agricoltura non è tutta uguale in Europa, cambia di Paese in Paese, e le politiche nazionali sono decisive. Però, a livello nazionale, la tendenza di molti governi e di molti partiti è di puntare il dito contro “Bruxelles”, per offrire un nemico lontano e difficile da comprendere. E lo si fa soprattutto in questi mesi, a poca distanza dalle elezioni europee, probabilmente per racimolare qualche voto sulla scia dei partiti, vecchi e nuovi, che hanno beneficiato dall’alimentare queste proteste. Sulle spalle degli agricoltori, perché mentre a Bruxelles la Commissione, i Governi, il Parlamento, stanno lavorando alla nuova Politica Agricola Europea, a livello nazionale il tema è scarsamente affrontato. Quando anzi le misure non sono proprio dannose per gli agricoltori.
Probabilmente questa attività produttiva ha necessità di essere assistita dai sussidi, perché è un settore fondamentale, indispensabile per la vita di tutti. Ma forse il modello economico va rivisto alla radice, o creando le condizioni perché i tanti piccoli coltivatori e allevatori che esistono in Paesi con l’Italia possano almeno avvicinarsi a vivere del proprio lavoro, perché la filiera del settore non gravi tutta su di loro, perché forse il sistema può essere organizzato meglio e non con tutti che producono un po’ tutto. Anche se qui, le distanze, un po’ contano, anche se normalmente mangiamo frutta e verdura che viene dall’altra parte del mondo.