Bruxelles – Continua a tenere banco, almeno tra i corridoi di Bruxelles, quello che ormai potremmo chiamare “l’affaire Fitto”. Da quando è arrivata l’ufficialità della nomina dell’attuale ministro degli Affari europei, Raffaele Fitto, come candidato italiano per la prossima Commissione Ue, si è messa in moto una girandola di dichiarazioni, smentite, accuse e controaccuse legate alla sua possibile nomina quale uno dei vicepresidenti esecutivi. Fino a spolverare gli eventi di cinque anni fa, quando il dem Paolo Gentiloni ricevette un via libera dagli eurodeputati conservatori come membro del primo Collegio von der Leyen (ma non ci fu un voto nel quale gli esponenti italiani di Ecr si espressero). Sul fronte italiano, la questione ruota intorno all’opportunità di sostenere il nome indicato da Roma come candidato del Paese anziché del governo, come chiede il centro-destra. All’Eurocamera, invece, si stanno moltiplicando le proteste dei partner della maggioranza europeista (Socialisti, Verdi e liberali) contro l’assegnazione di una vicepresidenza esecutiva dell’esecutivo comunitario ad un esponente dell’estrema destra.
Mercoledì (11 settembre) la presidente eletta della Commissione, Ursula von der Leyen, avrebbe dovuto presentare al Parlamento europeo la propria squadra per il quinquennio 2024-2029. Invece, l’appuntamento è stato rimandato al prossimo 17 settembre, durante la Plenaria di Strasburgo, e a Bruxelles continua il dibattito sulla candidatura di Fitto alla vice presidenza (una delle quattro o cinque che si immagina ci saranno) del secondo Collegio guidato dalla popolare tedesca, e continua il negoziato che la presidente della Commissione sta conducendo con le forze politiche e i governi.
Come noto da tempo, la premier italiana Giorgia Meloni vorrebbe per il suo fedelissimo un portafoglio economico – quello per cui è già stato coniato il soprannome “mister mille miliardi”, in riferimento alla possibile delega al Bilancio e/o al NextGenerationEu – e, soprattutto, un “ruolo di peso” all’interno della prossima Commissione. Che tradotto significa una vicepresidenza esecutiva, la quale lo collocherebbe (insieme alla socialista spagnola Teresa Ribera, al liberale francese Thierry Breton e al popolare lettone Valdis Dombrovskis) nel cerchio magico dei commissari più potenti. Ma proprio queste richieste, reiterate anche dagli alleati di governo, Lega e Forza Italia, hanno dato vita ad un caso politico tra Roma e Bruxelles.
All’Europarlamento si sta allungando la lista delle forze politiche alle quali von der Leyen deve la propria riconferma che si oppongono al conferimento di un ruolo da vicepresidente esecutivo per un membro di un partito, quello dei Conservatori e riformisti (Ecr), che considerano di destra radicale e con il quale hanno dichiarato da tempo di non voler collaborare. Dopo l’altolà dei liberali (Renew) e dei Verdi (G/Efa), ieri è arrivato anche l’avvertimento dei Socialisti (S&D), i quali aspetterebbero la presidente eletta al varco: “portare proattivamente Ecr nel cuore della Commissione“, si legge in una nota di ieri (10 settembre), è un’ottima ricetta “per perdere il sostegno dei progressisti“.
Lo stesso fronte socialdemocratico in Aula non è compatto, dato che il Partito democratico, la pattuglia più folta del gruppo S&D, ha invece espresso il proprio supporto nei confronti della candidatura di Fitto per voce del capodelegazione Nicola Zingaretti. “Ben venga un ruolo di peso per l’Italia, difendiamo questa prerogativa”, ha dichiarato l’ex governatore del Lazio alla stampa, aggiungendo che “giudicheremo il commissario Fitto senza nessun pregiudizio”. Sembra,secondo le parole del loro capo delegazione, che i dem siano dunque intenzionati a rispondere affermativamente all’appello, lanciato dal governo a più riprese, a sostenere il ministro in Europa andando oltre alle divisioni partitiche. Però sembra che in realtà la delegazione sia divisa, e che buona parte dei deputati dem vogliano comunque bloccare la nomina a vice presidente.
Carlo Calenda, segretario di Azione (che in Europa è affiliato a Renew, per quanto non abbia eletto rappresentanti all’Eurocamera lo scorso giugno), ha dichiarato che “bisognerebbe appoggiare” Fitto (che definisce un moderato) poiché “il fatto che il governo non ci piaccia non vuol dire che noi non dobbiamo avere un rappresentante nella Commissione europea di peso e di valore“.
I rappresentanti di Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia si sono però spinti ancora più in là, sostenendo che l’appoggio delle opposizioni al candidato meloniano (“fare quadrato intorno a lui”, nelle parole dell’europarlamentare azzurro Salvatore De Meo) sia quasi un atto dovuto per ricambiare quello fornito a parti inverse nell’autunno 2019. All’epoca, quando il governo giallorosso era appena entrato in carica, Paolo Gentiloni superò agevolmente le audizioni degli eurodeputati e poté assumere le sue funzioni come commissario all’Economia anche grazie all’assenza di contrarietà da parte dei parlamentari europei del centro-destra, che allora si trovavano all’opposizione a Roma.
Nella ricostruzione degli eventi di cinque anni fa, quando von der Leyen stava componendo il suo primo Collegio, alcuni passaggi sono finiti per essere messi in fila in maniera un po’ disinvolta. Gentiloni venne sì approvato senza patemi in sede di commissione parlamentare nell’ottobre 2019, ma come ha correttamente ricordato l’eurodeputato pentastellato Gaetano Pedullà, è impreciso dire, come sostengono alcuni nella destra, che Fratelli d’Italia votò in favore del Commissario italiano. In quell’occasione, ricorda, “non si celebrò nessun voto perché la candidatura di Gentiloni passò durante la riunione dei coordinatori che fu a porte chiuse e nessun europarlamentare di Fdi ne fece parte”. Fonti di Fratelli d’Italia hanno fatto sapere, in risposta ai commenti dei colleghi 5 Stelle, che i coordinatori di Ecr diedero l’ok al commissario dem dopo aver concordato la loro posizione con i co-presidenti del gruppo, tra cui c’era anche Fitto. Sia come sia, l’intera pattuglia di FdI a Strasburgo, incluso Fitto, votò poi contro la fiducia alla Commissione von der Leyen I nel suo complesso a novembre (dunque Gentiloni compreso), dopo aver già votato “no” nel luglio precedente all’insediamento della popolare tedesca come presidente dell’esecutivo comunitario.
Il punto politico dell’intera questione è che il problema non è tanto il profilo personale di Fitto (difficile da considerare un pericoloso estremista, visto che la sua traiettoria politica è sempre stata più vicina al centro che alla destra), quanto, almeno per gli alleati dei Popolari nella “maggioranza Ursula 2.0“, far entrare nelle stanze dei bottoni più ambiti qualcuno che arriva dall’Ecr, rompendo di fatto un cordone sanitario che aveva tenuto fino ad ora.
“La vera contraddizione”, ha detto l’eurodeputato dem Matteo Ricci, è quella della premier italiana Giorgia Meloni, “che con il gruppo di Ecr si schiera contro Von der Leyen e il suo programma europeista e poi nomina un Commissario italiano del suo stesso partito che dovrà seguire quel programma“. Peraltro dopo essersi astenuta in sede di Consiglio europeo sul bis della tedesca a palazzo Berlaymont, e dopo aver fatto votare contro la sua riconferma gli eurodeputati di FdI. Con ogni probabilità, comunque, la questione Fitto non è destinata a finire tanto presto, dato che le audizioni per i candidati commissari potrebbero protrarsi, nel peggiore dei casi, fino a novembre inoltrato.