Bruxelles – L’Ue procede spedita verso un rilassamento dei vincoli sul taglio delle emissioni per le case automobilistiche. Anche l’Eurocamera non vuole perdere tempo, ed ha approvato oggi (6 maggio) la procedura d’urgenza per esprimersi sulla proposta della Commissione europea di calcolare su una media di tre anni anziché uno la conformità ai target scattati quest’anno, scongiurando così (per ora) multe salate a chi non si adegua. Ma se gli obiettivi restano gli stessi, alcuni Paesi Ue non si danno una mano: in Italia, Bulgaria e Slovacchia non vale ancora il principio secondo cui ‘chi inquina paga’.
L’Aula di Strasburgo metterà ai voti già giovedì 8 maggio la proposta di modifica del regolamento sulle emissioni CO2 di auto e furgoni avanzata dalla Commissione europea a inizio aprile, che permetterebbe di calcolare la conformità al limite di 93,6 grammi di CO2 per chilometro percorso a livello di flotta sul triennio 2025-2027 e dunque di compensare eventuali ritardi iniziali incrementando le prestazioni negli anni successivi. L’idea che le case automobilistiche abbiano bisogno di più tempo per adeguarsi agli obiettivi fissati nella scorsa legislatura è ormai una convinzione bi-partisan, ed è uno dei risultati emersi dal Dialogo strategico sul futuro dell’Automotive tenuto quest’inverno da Bruxelles con produttori e stakeholders.
Ma se in fin dei conti i target rimangono gli stessi, i Paesi membri dovrebbero trovare le chiavi giuste per incanalare i settori nazionali in quel percorso. Attraverso tassazioni basate su parametri emissivi, per esempio. Secondo uno studio comparativo realizzato da Transport & Environment (T&E), organizzazione indipendente europea che promuove la decarbonizzazione dei trasporti, il sistema fiscale italiano sulle auto è ancora “completamente sganciato dalle emissioni di CO2“. Il nostro Paese è l’unico tra i grandi mercati dell’automotive europei, ed uno dei tre Stati membri insieme a Bulgaria e Slovacchia, a “non applicare alcuna imposta parametrata alle emissioni climalteranti”.
L’analisi di T&E prende in considerazione la fiscalità applicata sia al canale privato che a quello aziendale. Se è vero che la nuova tassazione sulle auto aziendali fornite ai dipendenti, entrata in vigore a gennaio 2025, riduce le esenzioni per gran parte dei veicoli endotermici mentre le aumenta per i plug-in hybrid e gli elettrici, le altre leve fiscali – come la detraibilità dell’IVA e la deducibilità del costo del veicolo – garantiscono ancora le medesime esenzioni fiscali a mezzi altamente inquinanti e quelli a zero emissioni. A titolo esemplificativo, in Italia l’adozione da parte di un privato di un SUV compatto elettrico farà risparmiare solamente 2.800 euro circa in 10 anni rispetto al suo equivalente a benzina. Su 31 Paesi analizzati, l’Italia è al 21esimo posto da questo punto di vista.
Per quanto riguarda le auto aziendali concesse ai dipendenti in fringe benefit – le auto aziendali costituiscono il 60 per cento delle nuove immatricolazioni nell’Ue -, in Italia il divario fiscale medio, tra auto elettriche e a motore endotermico, in un arco di possesso e gestione del mezzo di 4 anni, può arrivare fino a 14.700 euro. In Portogallo arriva a 30.300, in Slovenia a 27 mila.
Secondo T&E, in Italia “è urgente riformare la fiscalità dell’auto per favorire la diffusione delle tecnologie maggiormente efficienti e meno emissive”. Rimodulando la tassa di immatricolazione in base alle emissioni di CO2 e al costo del veicolo, adottando le emissioni come parametro regolatorio per la tassazione delle auto aziendali, eliminando esenzioni o riduzioni dal pagamento del bollo per veicoli storici inquinanti.