Al conflitto siriano “non c’è una soluzione militare”, e l’accordo politico, seppur difficile, è l’unica via d’uscita possibile. Nel tentare di raggiungerlo però non bisogna puntare a smantellare le attuali istituzioni guidate dal Bashar al-Assad “se si vuole evitare un collasso come quello che c’è stato in Iraq e peggio ancora in Libia”. È quanto ha spiegato Staffan de Mistura, inviato speciale per la Siria delle Nazioni Unite, in una audizione nella commissione Affari esteri del Parlamento europeo sul conflitto che ormai dura da 4 anni consecutivi e che ha causato “7,7 milioni di sfollati, 3,2 milioni di rifugiati, 200mila morti, un milione di feriti, 4mila scuole chiuse e più di 90 siti archeologici o distrutti o danneggiati seriamente”.
Per de Mistura “se qualcuno poteva credere che il conflitto potesse essere risolto con la soluzione militare”, ora “ha la prova che ciò non è fattibile”, ed è “riconosciuto da tutti, da Assad, all’opposizione e ai Paesi della regione”, tutti “si rendono contro che c’è spazio solo per una soluzione politica”. Nel Paese “si lotta tutti contro tutti e a perdere sono i siriani stessi”, afferma l’inviato speciale secondo cui la comunità internazionale deve imparare dagli sbagli del passato. “In Iraq l’errore principale è stato smantellare le istituzioni”, che invece nel caso siriano devono essere “protette e mantenute per evitare il collasso come quello in atto in Iraq e in modo ancora più drammatico in Libia”. Si deve puntare in futuro “a un governo di coalizione, a un cambiamento della costituzione ed eventualmente a nuove istituzioni”, ma “senza ignorare che Assad controlla circa il 50% del Paese”.
Per una soluzione politica poi è necessaria, continua ancora de Mistura, una precondizione indispensabile: una maggiore coesione delle opposizioni che “hanno il sostegno di diversi attori regionali”, e spesso finiscono per “rappresentare quegli interessi” più che i propri, e così ha ragione Assad quando dice “di non avere un interlocutore”, mentre invece servirebbe “un interlocutore credibile e coerente”.
L’inviato speciale ha insistito sulla proposta di un congelamento dei combattimenti in alcune città, prima tra tutte Aleppo. Un congelamento “che non significa un cessate il fuoco che non verrebbe accettato dalle fazioni in lotta”, ma una moratoria “delle armi pesanti e dei bombardamenti da entrambe le parti”, per permettere di creare dei corridoi umanitari e sostenere la popolazione ormai allo stremo. Questa proposta, spiega, “è stata accettata da Assad” che però “ha avanzato delle condizioni”, ovvero che “i combattenti stranieri abbandonino il Paese e il riconoscimento da parte dell’opposizione del controllo del governo da lui guidato”, delle richieste che per l’inviato speciale “sono in teoria valide”.