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Brexit, l'Ue prova ad accontentare Londra, ecco la proposta per Cameron (che è soddisfatto)
David Cameron

Brexit, l'Ue prova ad accontentare Londra, ecco la proposta per Cameron (che è soddisfatto)

Nero su bianco il documento per tentare di evitare una Brexit. Il premier britannico: "Progressi reali. Con questi accordi se fossi fuori opterei per entrare nell'Ue"

Bruxelles – Una pausa d’emergenza di massimo quattro anni nell’offerta dei benefici sociali ai lavoratori degli altri Paesi europei. Con qualche condizione.  Adesso è nero su bianco la proposta del presidente del Consiglio europeo per tentare di evitare la Brexit. Una proposta, diffusa da Donald Tusk ma che dovrà essere approvata da tutti i 28 capi di Stato e di governo, che viene incontro (almeno formalmente) a buona parte delle richieste di David Cameron, anche sul tema più delicato e cioè la volontà di Londra di tagliare fuori per quattro anni dal sistema di welfare britannico i cittadini Ue che si trasferiscano nel Regno Unito. Per risolvere la questione, il piano inviato da Tusk alle capitali che si spera di finalizzare nel corso del Consiglio europeo di 18 e 19 febbraio, prevede un “meccanismo di allerta e salvaguardia che risponda alle situazioni di flussi di lavoratori da altri Stati membri di portata eccezionale per un esteso periodo di tempo”.

L’autorizzazione della pausa d’emergenza – Uno Stato membro che voglia usufruire di questo meccanismo, si legge nella bozza di conclusioni, dovrebbe notificare alla Commissione e al Consiglio che questa situazione eccezionale esiste e sta “colpendo aspetti essenziali del suo sistema di sicurezza sociale” o creando “difficoltà gravi” al mercato del lavoro del Paese o ancora che la situazione sta “mettendo una pressione eccessiva sul corretto funzionamento dei servizi pubblici”. Verificata dalla Commissione questa circostanza, il Consiglio potrà autorizzare lo Stato membro a restringere l’accesso al welfare “per un periodo totale fino a quattro anni”, e dovrà farlo con una votazione a maggioranza qualificata (cioè del 55 per cento degli Stati membri che rappresentino almeno il 65 per cento dei cittadini dell’Unione, il sistema di voto usato abitualmente nel Consiglio). Il meccanismo si potrebbe applicare soltanto ai nuovi cittadini che fanno ingresso nel Paese e non invece a quelli già residenti. Non si tratterebbe poi, come inizialmente richiesto da Cameron, di una completa esclusione dai benefit sociali ma di una limitazione “graduale” che passi da “una completa esclusione iniziale fino ad un accesso gradualmente accresciuto a questi benefici per prendere in conto le crescenti connessioni del lavoratore con il mercato del lavoro dello Stato membro”.

La Commissione sostiene le ragioni di Londra – E se i capi di Stato e di governo dovessero dare il via libera al meccanismo, l’esecutivo comunitario sarebbe già pronto a certificare che una situazione emergenziale a cui rimediare in Gran Bretagna esiste: “La Commissione – si legge in una bozza di dichiarazione dell’esecutivo Ue – considera che il tipo di informazioni provviste dal Regno Unito mostrino che il tipo di situazione eccezionale che il proposto meccanismo di salvaguardia intende coprire esiste oggi nel Regno Unito” e dunque il Paese “sarebbe autorizzato a lanciare il meccanismo nella piena aspettativa di ottenere approvazione”.

Più forza ai Parlamento nazionali – La proposta di Tusk accoglie anche l’idea di Cameron secondo cui i Parlamenti nazionali dovrebbero avere un ruolo più rilevante e dovrebbero potere stoppare le proposte legislative della Commissione. Secondo le conclusioni su cui i capi di Stato e di governo dovrebbero concordare, nel caso in cui la maggioranza dei Parlamenti nazionali unisca le forze sostenendo che una bozza di legislazione non rispetta il principio di sussidiarietà, allora si potrà arrivare a bloccare la proposta. E’ in sostanza un chiarimento di quanto già previsto dagli articoli 5 e 12 del Trattato Ue, la parte sulla sussidiarietà, con la procedura indicata nel Protocollo 2. Il percorso illustrato dalla proposta di Tusk non è semplice: le obiezioni devono arrivare da un gruppo di Parlamenti nazionali che rappresentano una maggioranza del 55 per cento nel Consiglio europeo ed entro dodici settimane dalla presentazione della bozza di proposta da parte della Commissione europea. Sulla base delle obiezioni della maggior parte dei Parlamenti, “la presidenza del Consiglio includerà il tema nell’agenda del Consiglio per un dibattito comprensivo” e se anche dopo questo dibattito i Parlamenti non avranno cambiato opinione, allora potranno “sospendere l’esame del progetto di atto legislativo in questione a meno che il progetto sia modificato per accogliere le preoccupazioni espresse nei pareri motivati”, recita il testo.

No ad una “unione sempre più stretta” –  Il compromesso cerca anche una soluzione alle obiezioni di Cameron che insiste perché si elimini dai trattati l’impegno ad una “unione sempre più stretta” degli Stati Ue. L’espressione contenuta nei trattati, si chiarisce nella bozza di dichiarazione su cui i leader Ue dovrebbero concordare, “intende segnalare che l’obiettivo dell’Unione è di promuovere la fiducia e la comprensione tra le persone che vivono in società aperte e democratiche” ma “non sono l’equivalente di un obiettivo di integrazione politica”. Insomma il riferimento “non offre le basi per estendere la portata di una disposizione dei trattati e del diritto derivato dell’Ue”.

La governance dell’Eurozona – Ma Tusk tenta di venire incontro alle richieste di Cameron anche nelle altre aree in cui il premier ha avanzato richieste, come quella della governance dell’Eurozona. Cameron chiedeva garanzie sul fatto che i Paesi fuori dalla moneta unica non subissero discriminazioni rispetto agli altri 19. A questo riguardo la bozza di conclusione dei capi di Stato e di governo chiarisce che “gli atti legali, inclusi gli accordi intergovernativi tra Stati membri, direttamente legati al funzionamento dell’area euro devono rispettare la coesione economia o del mercato interno, sociale e territoriale e non devono costituire una barriera o una discriminazione nel commercio tra Stati membri”. Questi atti, poi, “devono rispettare le competenze, i diritti e gli obblighi degli Stati membri la cui moneta non è l’euro”. Dall’altro lato, i Paesi fuori dalla moneta unica “non devono impedire la messa in atto di atti legali direttamente legati al funzionamento dell’area euro e dovrebbero trattenersi da misure che possano compromettere la realizzazione degli obiettivi dell’Unione economica e monetaria”.

Il rapporto tra Paesi con e senza euro – Secondo la proposta di Tusk, i capi di Stato dovrebbero anche concordare sulla creazione di un apposito meccanismo secondo cui, se un certo numero (ancora da stabilire) di Stati fuori dalla moneta unica proclama una contrarietà motivata all’adozione di un certo atto legislativo relativo al funzionamento dell’area euro, allora il Consiglio si impegnerà a discutere la questione. Questo, però, chiarisce il documento, non può in alcun caso tradursi in “una situazione che equivarrebbe a consentire ad uno o più Stati membri di porre un veto ad una efficace gestione dell’unione bancaria o alla futura integrazione dell’area euro”.

Maggiore attenzione alla competitività – La bozza di accordo prevede anche che gli Stati Ue si impegnino a garantire maggiore attenzione alla competitività, altra richiesta chiave di Londra. “Le istituzioni europee e gli Stati membri faranno ogni sforzo per rafforzare il mercato interno e per adattarlo a tenere il passo con un ambiente che cambia” e anche per “fare passi concreti verso una migliore regolamentazione”, recita la bozza di conclusione preparata da Tusk per i leader europei. In una dichiarazione separata sulla competitività, si chiarisce che l’attenzione sarà posta in particolare sulla riduzione del “fardello complessivo della regolamentazione Ue, soprattutto sulle piccole e medie imprese” e che si punterà a “stabilire, ove possibile, obiettivi di riduzione degli oneri in settori chiave con l’impegno di istituzioni Ue e Stati membri”.

La soddisfazione di Cameron – Le proposte a Cameron sembrano piacere: i documenti, twitta il premier britannico, “mostrano progressi reali in tutte e quattro le aree in cui la Gran Bretagna ha bisogno di cambiamenti” ma, avverte “c’è più lavoro da fare”.

Parlando ad una manifestazione fuori Londra il premier ha definito le proposte “Un pacchetto molto forte e potente”. Cameron ha aggiunto che “a volte le persone mi chiedono: ‘se non fossi già in Europa sceglieresti di aderire all’Ue?’. Oggi posso dare una risposta molto chiara: se potessi ottenere questi termini per l’adesione britannica io certo opterei per essere un membro dell’Unione europea, perché sono buoni termini di accordo e sono diverso da quelli che hanno altri paesi”.

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