Bruxelles – Dopo tanti avvertimenti arriva la maxi-multa all’Italia per non essersi messa in regola con la raccolta e il trattamento delle acque reflue urbane, come richiesto dalle norme comune. Norme che risalgono al 1991, e che dovevano essere soddisfatte in pieno dall’1 gennaio 2001. In dieci anni l’Italia non ha saputo attuare le disposizione comunitarie, e dopo altri 18 anni ci sono ancora 74 aree urbane senza allaccio alle fogne o prive di sistemi di raccolta e di trattamento delle acque reflue urbane a norma. Per questo l’Italia dovrà pagare 25 milioni di euro più altri 30 milioni ogni sei mesi passati senza risolvere la situazione.
L’importo della multa è stato ridotto (la Commissione chiedeva 62,6 milioni più un multa giornaliera di 39mila euro per ogni giorni di perdurare della situazione), perché l’Italia ha quanto meno dimostrato di aver parzialmente migliorato la situazione dal 2012, quando la Corte riconobbe l’inadempienza dell’Italia. Allora le aree senza sistemi di gestione delle acque di scarico erano 109, oggi ce ne sono 25 in meno.
Quella di oggi è una delle tre procedure aperte contro l’Italia sul tema della gestione delle acque reflue. Un’altra è stata appena portata in Corte di giustizia, e la terza è ancora in fase pre-contenziosa.
“La multa ha radici lontane, nella mancanza di investimenti negli ultimi 60 anni. Salvo un breve periodo a inizio degli anni ’80 di finanziamenti speciali per il Mezzogiorno, solo oggi grazie all’esistenza di un’Autorità di regolazione, possiamo dire che si sta migliorando. È questa la causa del gap infrastrutturale che oggi ci porta ad essere nuovamente bacchettati dall’Ue. Bisogna mettersi in regola, anche perché pagare per avere impianti adeguati è meglio che continuare a ‘regalare’ soldi in sanzioni comunitarie”. Così commenta Giordano Colarullo, direttore generale di Utilitalia (l’associazione delle imprese di acqua energia e ambiente).
“Gli investimenti sono ripartiti da quando l’Arera ha varato il Metodo Tariffario – dice Colarullo – che consente di calcolare gli effetti economici delle scelte industriali, ma siamo ancora molto lontani dal recupero del nostro ritardo. In particolare le sanzioni Ue si concentrano in quella parte del Paese, le regioni meridionali, nel quale prevalgono gestioni dirette di Enti Locali anziché di aziende strutturate. E poi bisognerà stare attenti a non passare dalle multe sulla depurazione a quelle sui fanghi”.
Il direttore di Utilitalia ricorda che c’è una questione aperta su una bozza di decreto relativo ai fanghi di depurazione, ovvero sui fanghi che residuano dalla pulizia delle acque. “L’Italia deve decidere come si possano smaltire. In un’ottica di economia circolare si possono usare per produzione di biocarburanti o per l’agricoltura. Oppure si può portarli a incenerimento o in discarica. In ogni caso l’iter della bozza di questo decreto è nelle mani dei Ministri dell’ambiente, dell’agricoltura e dello sviluppo economico del prossimo Governo, che dovranno tener dare indicazioni su cosa fare oggi per evitare di trovarci domani a pagare multe anche per questo”.
Nei fanghi – spiega Utilitalia – si concentrano sostanze utili in agricoltura (nutrienti per il terreno) che dovrebbero altrimenti essere aggiunte per via chimica (fertilizzanti, concimi minerali). L’utilizzo dei fanghi in agricoltura, con il rispetto delle normative nazionali ed europee, consente quindi di “chiudere il cerchio” ovvero di restituire al terreno le sostanze che ci sono servite per l’alimentazione. I fanghi vengono anche usati nella produzione di compost, un materiale stabile e igienizzato, pronto per l’utilizzo in agricoltura o nel florovivaismo. “I gestori degli impianti di depurazione – conclude Colarullo – si augurano che le norme, a tutela degli utenti e dell’ambiente , siano approvate prima possibile. È anche un passaggio culturale importante, quello pensare in chiave di economia circolare. Occorre applicare all’acqua gli stessi principi che già si applicano ai rifiuti: ridurre gli scarti e riutilizzarli per quanto possibile”.