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Bilancio e stato di diritto, l'Eurocamera porta avanti l'iter per deferire la Commissione alla Corte di giustizia
Ursula von der Leyen

Bilancio e stato di diritto, l'Eurocamera porta avanti l'iter per deferire la Commissione alla Corte di giustizia

Per il ritardo nell'applicare il meccanismo di condizionalità per legare i fondi del bilancio al rispetto dei valori comunitari. La questione finisce in commissione giuridica ma senza un'agenda certa sul voto, che potrebbe arrivare a novembre

Bruxelles – Il Parlamento europeo fa sul serio, è deciso a non far passare sotto silenzio il ritardo della Commissione Europea sull’applicazione del meccanismo di condizionalità sullo stato di diritto, per legare i fondi del bilancio al rispetto dei valori comunitari. Dopo una lettera di avvertimento inviata dal presidente David Sassoli datata 23 giugno e una risposta poco esaustiva da parte dell’Esecutivo, i principali gruppi politici all’Europarlamento hanno deciso di muovere i passi successivi nell’iter che potrebbe portare a una causa formale contro la Commissione di fronte alla Corte europea di giustizia per inadempienza ai suoi doveri, ai sensi dell’articolo 265 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea.

Lunedì 30 agosto si è tenuta la prima conferenza dei capigruppo dopo la pausa estiva e i leader della maggior parte dei gruppi politici al Parlamento europeo hanno deciso di passare la palla nelle mani della commissione giuridica del Parlamento europeo (Jury), che nei prossimi mesi dovrà formulare una raccomandazione sul caso al presidente Sassoli, che dovrà poi decidere come muoversi.

Il meccanismo per legare i fondi europei alla situazione dello stato di diritto è entrato in vigore formalmente il primo gennaio insieme al nuovo bilancio pluriennale (2021-2027), ma non è entrato in funzione concretamente anche se per il Parlamento avrebbe dovuto essere già attivato “nei casi più evidenti di violazione dello Stato di diritto nell’Ue”. Solo durante l’estate la Commissione UE ha avviato due diverse procedure di infrazione contro Varsavia e Budapest per violazione dei diritti fondamentali di uguaglianza attraverso due nuove leggi che discriminano la comunità Lgbt+.

“Non ci arrenderemo fino a che allo stato di diritto non verrà applicato il meccanismo di condizionalità per cui abbiamo lavorato”, ha avvertito il capogruppo dei liberali di Renew Europe, Dacian Ciolos, menzionando una maggioranza che ha consentito di andare avanti con il processo che potrebbe portare la Commissione Europea in tribunale.

A quanto apprendiamo, tra i gruppi maggioritari in Parlamento è il PPE, Partito popolare europeo, ad aver frenato di più la decisione nella conferenza dei capigruppo, anche perché area politica di appartenenza della presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen. La condizionalità ha tenuto per mesi in stallo le trattative tra Parlamento e Consiglio sull’attuale bilancio pluriennale, traducendosi infine in un accordo molto blando che ha dato la possibilità a Ungheria e Polonia di contestarlo davanti alla Corte di giustizia europea. Le cause di Budapest e Varsavia sono state intentate all’inizio di marzo, ma saranno ascoltate dalla Corte solo l’11 e il 12 ottobre senza una data precisa. Per il Parlamento europeo è sempre stata una questione di principio e non è intenzionato a lasciar cadere la cosa.

La Commissione assicura che non c’è alcuna volontà di sospendere il meccanismo (che comporterebbe di fatto una violazione di legge) ma il ritardo accumulato è dovuto al fatto che al Berlaymont si lavora sui dettagli del meccanismo, una serie le linee guida per orientarne l’azione senza le quali non può partire. L’eurodeputata liberale Sophie in ‘t Veld ha pubblicato nei giorni scorsi per intero la risposta della Commissione alla lettera del Parlamento, in cui ribatte di aver intrapreso le azioni necessarie per la corretta applicazione della condizionalità dello Stato di diritto e che “l’invito ad agire” dell’Eurocamera era troppo poco specifico su quali casi l’UE dovesse intervenire.

Ora la decisione di portare il caso davanti al tribunale è nelle mani della commissione giuridica, senza che per ora ci siano tempi certi sul voto. La commissione “non ha ancora un’agenda stabilita, la procedura è appena iniziata, ma come per tutti i casi i membri gestiranno la questione il più velocemente possibile”, assicurano fonti parlamentari. Secondo qualcuno potrebbero volerci almeno due mesi, facendo slittare ancora l’iter fino a novembre.

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