Bruxelles – Dopo il via libera da parte del Consiglio, oggi (9 settembre) anche gli eurodeputati della commissione per l’Agricoltura del Parlamento Europeo hanno convalidato a larga maggioranza l’accordo politico raggiunto il 25 giugno sui tre regolamenti del pacchetto di riforma della nuova Politica agricola comune. Il regolamento sui Piani strategici passa con 38 voti favorevoli, 8 contrari e 2 astensioni; il testo sull’Organizzazione comune dei mercati agricoli (OCM) con 40 voti a favore, 5 contrari e 3 astensioni; infine, il terzo regolamento su Finanziamento, gestione e monitoraggio della PAC (il cosiddetto regolamento orizzontale) con 39 voti favorevoli, 7 contrari e 2 astenuti.
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Dopo il passaggio in commissione agricoltura, è atteso il voto da parte di tutti gli eurodeputati in sessione plenaria, probabilmente durante la tornata di novembre (22-25 novembre). La nuova Politica agricola comune (2023-2027) entrerà in vigore il primo gennaio 2023 con un valore di 387 miliardi di euro, circa il 30 per cento del bilancio comunitario a sostegno degli agricoltori europei. “Abbiamo raggiunto un buon equilibrio tra gli obiettivi di sostenibilità, economica, ambientale e sociale per garantire sicurezza agli agricoltori e più tutele ai lavoratori fino al 2027”, commenta l’eurodeputato S&D, Paolo De Castro.
Dopo l’accordo politico raggiunto a fatica dalle Istituzioni, il voto nelle singole Istituzioni è quasi un passaggio formale, sicuramente l’approvazione scontata. Nonostante questo, l’accordo continua ad attirare le critiche di chi non lo voleva da principio. “Accordo scellerato raggiunto tra le istituzioni UE sulla nuova Politica Agricola Comune (PAC) post-2022”, lo definisce Eleonora Evi, eurodeputata dei Verdi europei e co-portavoce nazionale di Europa Verde. “Un accordo che regala un terzo del bilancio UE in sussidi alle grandi aziende dell’agricoltura industriale, lasciando le briciole ai piccoli agricoltori e a chi cerca di praticare un’agricoltura virtuosa in linea con l’ambiente. Un accordo che, al netto dei vuoti proclami ambientali, altro non è che business as usual: i grandi colossi dell’agribusiness continueranno a ricevere miliardi di soldi pubblici senza dover cambiare le proprie pratiche agricole, mentre i piccoli continueranno a scomparire”, conclude.