Bruxelles – I periodi di accudimento e cura dei figli devono essere presi in considerazione ai fini del calcolo della pensione di vecchiaia, anche se trascorsi in altri Stati membri dell’Ue. Lo ha stabilito la Corte di giustizia dell’Unione, in nome del principio della libera circolazione delle persone alla base del progetto di integrazione.
La giurisprudenza in questo caso si fa a partire dalle vicende di una cittadina austriaca, che per ragioni personali ha soggiornato prima in Ungheria e poi Belgio, prima di rientrare in Austria, dove ha ripreso a lavorare, pagare tasse e versare contributi. Durante i soggiorni all’estero la donna non ha lavorato ma si è esclusivamente dedicata alla cura dei figli. Mentre i periodi di ‘attività di mamma’ svolti in Austria sono
stati equiparati a periodi di assicurazione e presi in considerazione ai fini del calcolo della pensione di vecchiaia, quelli maturati in Belgio e in Ungheria invece, no.
Questo non va bene. Secondo i giudici di Lussemburgo, lo Stato responsabile dell’erogazione dell’assegno di pensione “deve prendere in considerazione tali periodi di cura dei figli, tanto anteriormente quanto successivamente al trasferimento della propria residenza in un altro Stato membro in cui si è dedicata alla cura dei figli”.
E’ convinzione della Corte di giustizia che negare la presa in considerazione dei periodi di cura della prole in un altro Stato membro vuol dire “porre in una situazione di svantaggio” la persona direttamente interessata “per il solo fatto di aver esercitato il proprio diritto alla libera circolazione. Una penalizzazione “contraria” ai dispositivi dell‘articolo 21 del Trattato sul funzionamento dell’UE che sancisce il principio di non discriminazione oltre alla libera circolazione.