Bruxelles – È la vigilia di uno degli appuntamenti più cruciali per la storia recente della Polonia, da cui dipenderà il futuro della politica interna e dei rapporti con l’Unione Europea di uno dei Paesi membri più irrequieti e problematici. Domenica (15 ottobre) gli elettori polacchi si recheranno alle urne per rinnovare la composizione del Parlamento e saranno chiamati a una decisione che imprimerà o una cesura con il passato o una conferma di appoggio per il partito di governo che negli ultimi otto anni ha portato quasi all’esasperazione il conflitto con Bruxelles sul piano dello Stato di diritto.
A rappresentare lo spartiacque in questa tornata elettorale in Polonia è il ritorno sulla scena politica nazionale di Donald Tusk, l’ex-premier tra il 2007 e il 2014, nonché presidente del Consiglio Europeo (dal 2014 al 2019) e numero uno del Partito Popolare Europeo (Ppe) fino al 2022. “Sono tornato per sconfiggere il male provocato alla Polonia dal governo di Kaczyński”, aveva annunciato due anni fa per rendere nota la volontà di mettere fine al potere del partito Diritto e Giustizia (PiS) di Jarosław Kaczyński, ponendosi alla testa di Piattaforma Civica (di cui è diventato leader tre mesi più tardi). Da quando ha assunto la guida del partito di opposizione, Tusk ne ha risollevato le sorti: dal crollo come terza forza al Sejm (la Camera bassa) con il 16 per cento delle preferenze, i sondaggi danno oggi l’alleanza Coalizione Civica al 30, a soli 6 punti percentuali di distacco dal PiS. Proprio il partito guidato dal premier, Mateusz Morawiecki, sta affrontando un calo dei consensi – almeno nelle previsioni sulla carta – che dal 43 per cento dei voti conquistati nel 2019 lo vede oggi al 36.
Oltre alle due maggiori formazioni in Polonia, l’attenzione nel giorno del voto dovrà essere prestata anche alle prestazioni elettorali di altre tre forze di opposizione (di cui due potrebbero formare un governo con Tusk). La coalizione Terza Via – formata dai liberali di Polonia 2050 e i popolari di Coalizione Polacca – e la sinistra di Lewica sono entrambe date al 10 per cento delle intenzioni di voti, così come la destra ultranazionalista di Confederazione Libertà e Indipendenza. Sarà soprattutto da qui che emergerà il destino della Polonia: senza margine per governare da solo come fatto nei ultimi sei anni, il PiS dovrà andare alla ricerca di un accordo di governo spostandosi ancora più a destra, o al contrario potrà emergere un’alleanza dal centro-destra alla sinistra per relegare i conservatori all’opposizione (e verosimilmente nominare Tusk come nuovo premier).

A dimostrare quanto sia alta la tensione in Polonia nella settimana che conduce al voto decisivo, è stato il primo – e ultimo – dibattito elettorale che ha visto lunedì (9 ottobre) la partecipazione di tutti i partiti in corsa. Nonostante le pressanti richieste di Tusk, il leader del PiS Kaczyński si è rifiutato di partecipare (perché avrebbe preferito a sua volta un confronto con il presidente del Ppe, Manfred Weber), e così il dibattito si è trasformato in un duello tra il numero uno di Coalizione Civica e il premier Morawiecki. Al centro in particolare i temi del referendum che domenica accompagnerà le elezioni per il rinnovo del Parlamento: politica di migrazione e asilo, privatizzazione dei beni statali, età pensionabile e barriera di confine con la Bielorussia. A Bruxelles in particolare preoccupa la retorica propagandistica sul primo quesito: “Siete favorevoli all’ammissione di migliaia di immigrati clandestini dal Medio Oriente e dall’Africa nell’ambito del meccanismo di ricollocazione forzata imposto dalla burocrazia europea?” Si tratta di una chiara fake news, dal momento in cui non esiste alcun “meccanismo di ricollocazione forzata” nei negoziati in corso tra i co-legislatori Ue, nemmeno nella posizione negoziale concordata dai Ventisette lo scorso 8 giugno sul Regolamento per la gestione dell’asilo e della migrazione (Ramm) e il Regolamento modificato sulle procedure di asilo (Apr).

A questo si somma la questione del rapporto tra Varsavia e Bruxelles sullo Stato di diritto. Dal 2021 è in corso un contenzioso legale determinato da due sentenze della Corte Costituzionale della Polonia: la prima del 14 luglio, quando i giudici di Varsavia hanno respinto il regolamento comunitario che permette alla Corte di Giustizia dell’Ue di pronunciarsi su “sistemi, principi e procedure” delle corti polacche, la seconda del 7 ottobre, quando la Corte Costituzionale ha messo in discussione il primato del diritto comunitario, definendo gli articoli 1 e 19 del Trattato sull’Unione Europea (Tue) e diverse sentenze dei tribunali dell’Ue “incompatibili” con la Costituzione polacca. Al centro della contesa c’è la decisione di sospendere provvisoriamente le competenze della sezione disciplinare della Corte Suprema della Polonia, a causa di alcuni provvedimenti arbitrari contro magistrati non graditi alla maggioranza di governo. Mentre è in corso la procedura di infrazione da parte della Commissione Europea, la Corte di Giustizia dell’Ue ha condannato il Paese membro a pagare un milione di euro di multa al giorno: il conto è già salito oltre mezzo miliardo di euro – 526 milioni per l’esattezza – dal 27 ottobre 2021 al 14 aprile 2023.