Bruxelles – Gli indizi c’erano tutti dopo l’esito delle elezioni anticipate dello scorso 17 aprile, ma ora la Croazia è pronta a virare ancora più a destra. Il partito di governo Unione Democratica Croata (Hdz) ha deciso di stringere un’alleanza di governo con l’estrema destra nazionalista di Movimento per la Patria e questa mattina (10 maggio) il primo ministro uscente, Andrej Plenković, ha reso noto con un post su X di aver ricevuto il mandato dal presidente della Repubblica, Zoran Milanović, per formare il nuovo gabinetto di ministri e presentarlo la prossima settimana al Sabor (il Parlamento monocamerale croato) per il voto di fiducia.
“Anche nel terzo mandato continueremo a lavorare per il miglioramento” della Croazia, ha esultato Plenković, annunciando le 78 firme (su 151) dei deputati che sosterranno il suo terzo governo consecutivo dal 2016. Ma la vera differenza rispetto al passato riguarda proprio l’indirizzo politico del suo esecutivo con gli inediti partner di maggioranza. Il Movimento per la Patria (Dp) è un partito fondato nel 2020 da nazionalisti radicali e conservatori di estrema destra fuoriusciti dall’Unione Democratica Croata di Plenković a causa del suo progressivo spostamento verso posizioni centriste. Dopo settimane di incertezza dopo le elezioni del 17 aprile a causa di un panorama politico piuttosto frammentato, il partito che aderisce alla famiglia europea del Ppe (Partito Popolare Europeo) ha deciso di virare decisamente verso destra con l’intesa siglata con i nazionalisti, un’indicazione chiara per il super-anno elettorale in Croazia che continuerà con le elezioni europee (il 9 giugno) e le presidenziali (a dicembre).
Movimento per la Patria è guidato da Ivan Penava, sindaco di Vukovar, uno dei centri della regione della Slavonia orientale più devastati durante le prime fasi della guerra di indipendenza della Croazia dalla Jugoslavia nel 1991. Dalla sua fondazione questo partito ha cercato di fornire all’elettorato croato – soprattutto quello rurale – un’alternativa più patriottica e una retorica fortemente polarizzante su temi sociali e storici, in polemica con la ristrutturazione interna dell’Hdz su posizioni meno nazionaliste da parte del suo presidente (dal 2016) Plenković. Tra responsabili di negazionismo dei crimini di guerra croati durante le guerre nell’ex-Jugoslavia degli anni Novanta e nostalgici dell’era ustascia (il movimento nazionalista e clerico-fascista croato guidato da Ante Pavelić, alleato dei nazisti tedeschi e dei fascisti italiani durante la Seconda Guerra Mondiale), la maggior parte dei suoi membri attuali sono gli stessi che tra il 2016 e il 2020 Plenković aveva neutralizzato o allontanato dall’Hdz e che ora si ritrovano in mano le sorti della maggioranza da cui dipenderà il nuovo gabinetto del ‘moderato’ primo ministro.
Il governo Plenković-ter potrebbe subire un’inversione sul diritto all’aborto – tema già piuttosto controverso nel Paese, nonostante per legge è garantito fino alla decima settimana – e sulle unioni civili tra persone dello stesso sesso (legali dal 2014), considerata la posizione dura a riguardo da parte dei nazionalisti di Movimento per la Patria, che si posizionano a favore di un maggiore peso della Chiesa cattolica nella politica interna per spingere i ‘valori’ della famiglia tradizionale e anti-aborto. Si rischia inoltre un inasprimento delle tensioni etniche in Croazia, considerata l’opposizione dei nuovi partner di governo all’inclusione del Partito Democratico Indipendente Serbo (Sdss) in maggioranza, che ha sostenuto il Plenković-bis dal 2020 a oggi. Su Zagabria aleggia però l’incertezza delle intenzioni del leader di Hdz dopo la tornata elettorale di giugno. Proprio come la premier italiana, Giorgia Meloni, anche Plenković guiderà il suo partito alle elezioni europee, ma non è chiaro se si fermerà alla spinta per eleggere il maggior numero possibile di eurodeputati o se cercherà un nuovo ruolo a Bruxelles (dopo essere stato eurodeputato tra il 2013 e il 2016). Gli occhi sono puntati in particolare sugli scenari che potrebbero aprirsi per la presidenza della Commissione Europea, se la candidatura di Ursula von der Leyen dovesse crollare.
Il turbolento 2024 in Croazia
Fino all’inizio dell’anno l’Hdz del premier Plenković sembrava avviato a una tranquilla riconferma alle elezioni previste per l’autunno, fino a quando a inizio marzo lo stesso esecutivo ha deciso di anticiparle a prima delle europee di giugno per cercare di limitare i danni politici dell’ondata di proteste nelle maggiori città del Paese. Oltre alle pressioni di singole categorie professionali per l’insoddisfazione nei confronti delle politiche del gabinetto Plenković – dagli insegnanti ai giudici e i medici per i salari, fino ai giornalisti contro le modifiche al Codice Penale per rendere un reato la pubblicazione di fughe di notizie – sono stati i partiti di centro e sinistra a catalizzare la volontà di “difendere la democrazia” in Croazia. In particolare le proteste hanno riguardato la nomina di Ivan Turudić a procuratore generale con il via libera dei deputati croati (il giuramento si è svolto il 13 marzo), a causa della sua vicinanza all’Hdz e alla possibile protezione di Plenković da casi di corruzione nel caso perdesse l’immunità dopo la tornata elettorale.
A sconvolgere davvero la campagna elettorale è stato però il presidente Milanović, che ha sorpreso gli elettori con l’annuncio della sua candidatura a primo ministro alla testa dei socialdemocratici croati. Tuttavia, la Corte Costituzionale ha subito dichiarato incostituzionale la candidatura di Milanović a primo ministro della Croazia, se non si fosse prima dimesso dalla carica attualmente ricoperta: decisione bollata come “analfabeta” da parte dello stesso presidente della Repubblica, che ha continuato a girare il Paese per fare campagna elettorale per l’Sdp e la coalizione di centro-sinistra. Il presidente della Repubblica in carica dal 2020 e già premier tra il 2011 e il 2016 è il personaggio politico più popolare in Croazia, ma la sua retorica ambigua nei confronti della Russia e della guerra in Ucraina, così come quella sul rapporto con il leader della Republika Srpska (l’entità a maggioranza serba in Bosnia ed Erzegovina), Milorad Dodik, e con il primo ministro ungherese, Viktor Orbán, lo rendono una mina vagante per l’elettorato più giovane e progressista.
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