Bruxelles – La laurea non fa per gli italiani, che di istruzione terziaria non vogliono e non sanno saperne. Il tasso tricolore di possessori di titolo accademico tra la fascia d’età compresa tra 25 e 34 anni è il terzultimo dell’Unione europea. Alla fine del 2023, rileva Eurostat, era al 30,6 per cento. Solo Ungheria (29,4 per cento) e Romania (22,5 per cento) registrano tassi di laureati più bassi di quello italiano. Tutti questi tre Paesi vengono esplicitamente citati dall’istituto di statistica europeo tra gli esempi di peggiori performance.
Il sistema Paese dunque non tiene il passo, e in un contesto di grandi cambiamenti economico-produttivi che richiedono più e nuove competenze, l’Italia rischia di restare al palo in termini di crescita e produttività. Oltretutto, guardando ai dati, l’Italia appare in ritardo lungo la strada che fissa l’obiettivo di avere il 45 per cento degli under 35 laureati entro il 2030. Un obiettivo già raggiunto da 13 Stati membri (Irlanda, Cipro, Lussemburgo, Lituania, Paesi Bassi, Svezia, Spagna, Francia, Belgio, Danimarca, Malta, Polonia e Lettonia).
A questo gruppo di Paesi si aggiungono cinque Stati membri non lontani dall’obiettivo di istruzione terziaria. Si contano Grecia (44,5 per cento di laureati under-35), Estonia e Austria (43,5 per cento), Portogallo (40,9 per cento) e Slovenia (40,7 per cento).
La doppia transizione verde e digitale rischia di tramutarsi in un vero e proprio rompicapo, per carenza di giovani qualificati e una formazione lasciata alle aziende causa titoli di studio mai conseguiti. Ma il problema, per il Paese, non finisce qui. Oltre al basso numero di laureati, l’Italia deve fare i conti con la questione di genere. Tra i pochi possessori di titolo di istruzione terziaria le donne sono più numerose degli uomini. Questo implica il dover varare politiche che consentano alle laureate di conciliare vita privata e lavoro, in un Paese dove si fa fatica a fare figli, tra quanti mettono su famiglia tardi e quanti non lo fanno affatto.