Bruxelles – La Nato si avvia con decisione sulla strada del 5 per cento. Il nuovo obiettivo di spese militari in proporzione al Pil, inimmaginabile fino a prima dell’invasione su larga scala dell’Ucraina da parte della Russia, è quasi quasi cosa fatta. Almeno a sentire il capo del Pentagono, Pete Hegseth, in trasferta a Bruxelles per incontrare i suoi omologhi dell’Alleanza e preparare il terreno verso il summit dell’Aia.
Al quartier generale della Nato, a Bruxelles, è in corso oggi (5 giugno) un incontro dei responsabili della Difesa dei 32 Stati membri. Lo statunitense Pete Hegseth – che in un eloquente segnale agli alleati europei ieri ha disertato la riunione del gruppo di contatto per la difesa dell’Ucraina (noto anche come gruppo Ramstein), svoltasi nello stesso edificio – si è detto “molto incoraggiato” dalle discussioni. “I Paesi presenti stanno superando abbondantemente il 2 per cento e riteniamo che siamo molto vicini, quasi al consenso, a un impegno del 5 per cento“, ha dichiarato. “Ci sono alcuni Paesi che non sono ancora del tutto d’accordo“, ha ammesso, per poi aggiungere che “li convinceremo”.

Da diversi mesi la Casa Bianca di Donald Trump sta facendo pressione sui membri dell’Alleanza nordatlantica perché aumentino sensibilmente i propri bilanci per la difesa. Tecnicamente, il target attuale è fissato, appunto, al 2 per cento del Pil, ma il tycoon pretende un impegno più che doppio. Lo stesso Segretario generale della Nato, Mark Rutte, aveva certificato poco dopo essere entrato in carica che gli attuali obiettivi di spesa non sono più adeguati al mutato contesto geopolitico internazionale, soprattutto (ma non solo) a causa dell’aggressività della Russia di Vladimir Putin.
Per l’ufficialità servirà attendere il vertice dei capi di Stato e di governo dei 32 Stati membri dell’organizzazione, in calendario per il 24-25 giugno all’Aia. Rimangono dunque tre settimane per mettere tutte le cancellerie d’accordo e far cambiare idea a quelle più recalcitranti. La ministeriale di oggi serve per preparare il terreno a livello tecnico. “Si tratterà di un investimento aggiuntivo considerevole“, ha dichiarato Rutte, anche lui fiducioso che al summit di fine mese “decideremo un obiettivo di spesa molto più elevato”.
In realtà, il maxi-target del 5 per cento è “composto”: il bilancio per la difesa vero e proprio andrà aumentato al 3,5 per cento, cui andrà sommato un ulteriore 1,5 per cento di Pil da dedicare a capacità e attività “legate alla difesa”, tra cui determinate opere infrastrutturali dall’elevato valore strategico. Ma i dettagli specifici verranno probabilmente discussi fino all’ultimo minuto prima del vertice.

Ora come ora, virtualmente, tutti i Paesi Nato – soprattutto quelli europei – stanno aumentando significativamente le spese in difesa. Un anno fa, nel giugno 2024, erano otto le cancellerie che rimanevano al di sotto della soglia del 2 per cento: Belgio, Canada, Croazia, Italia, Lussemburgo, Portogallo, Slovenia e Spagna. Poi il “ciclone Trump” ha sparigliato le carte in tavola. Tra minacce di disimpegno e flirt col Cremlino, il tycoon ha sostanzialmente trasformato l’aumento dei budget militari da una scelta politica ad una necessità strategica.
Gli europei hanno capito l’antifona: se vogliono mantenere lo zio Sam coinvolto nel Vecchio continente, devono mettere mano al portafoglio. È un cambio di paradigma di portata generazionale, per quanto tardivo, almeno secondo alcuni: lo stesso Rutte ha suonato l’allarme recentemente sul fatto che la Russia, che pure ha un’economia 25 volte più piccola di quella dei Paesi Nato messi insieme, produce il quadruplo di munizioni.
I dati ufficiali aggiornati sulla spesa in rapporto al Pil nazionale non sono ancora stati pubblicati, ma tutti gli Stati membri appaiono sul punto di centrare o addirittura superare l’obiettivo del 2 per cento, concordato nel lontano 2014 dopo l’esplosione della crisi russo-ucraina. Madrid, a lungo fanalino di coda dell’Alleanza, ha annunciato lo scorso aprile che intende raggiungere il target di riferimento entro la fine dell’anno.

Se pare esserci un accordo di fondo sulla necessità di aumentare le spese militari, comunque, i governi nazionali sono divisi sulle tempistiche. Rutte parla del 2032: per alcuni membri (su tutti i baltici e gli scandinavi) è un orizzonte troppo lontano, mentre per altri è troppo ravvicinato. Giorgia Meloni ha promesso che Roma raggiungerà il 2 per cento entro il summit dell’Aia, ma secondo il titolare della Difesa Guido Crosetto il governo italiano è d’accordo con quello britannico nell’indicare il 2035 come data ideale per il 5 per cento.
Il ministro ha anche detto di “non sapere” se il suo stesso esecutivo richiederà l’attivazione della clausola di salvaguardia del Patto di stabilità e crescita (Psc), una possibilità concessa dalla Commissione Ue nell’ambito del piano ReArm Europe per permettere ai Ventisette di indebitarsi nel settore della difesa senza incorrere in procedure d’infrazione.
Secondo Crosetto, la sospensione delle regole del Psc dovrebbe durare per “venti o trent’anni” per “avere un senso”. Tuttavia, ragiona, stanziare fondi non basta: il problema è che “non esiste una capacità produttiva per sostenere gli investimenti che dovremo fare nei prossimi anni, perché l’industria della difesa è rimasta quella di tre anni fa”.