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    Home » Cronaca » Il fermo delle navi Sea Watch nell’estate 2020 potrebbe essere giustificato dal diritto dell’UE

    Il fermo delle navi Sea Watch nell’estate 2020 potrebbe essere giustificato dal diritto dell’UE

    Lo afferma l'avvocato generale della Corte di Giustizia UE: "Lo Stato di approdo può adottare provvedimenti di fermo quando le irregolarità constatate presentano un rischio manifesto per la sicurezza, la salute o l'ambiente"

    Federico Baccini</a> <a class="social twitter" href="https://twitter.com/@federicobaccini" target="_blank">@federicobaccini</a> di Federico Baccini @federicobaccini
    22 Febbraio 2022
    in Cronaca
    Sea Watch UE

    Bruxelles – In forza del diritto dell’Unione Europea, “lo Stato di approdo può adottare provvedimenti di fermo quando le irregolarità constatate presentano un rischio manifesto per la sicurezza, la salute o l’ambiente”. Con questa motivazione l’avvocato generale della Corte di Giustizia dell’UE Athanasios Rantos ha precisato nelle sue conclusioni che le navi private che svolgono attività regolare di ricerca e salvataggio in mare – come quelle dell’ONG Sea Watch nell’estate del 2020 a Palermo e Porto Empedocle –  possono costituire “oggetto di un controllo di conformità alle norme internazionali“.

    La questione era stata sollevata davanti ai giudici europei dal Tribunale amministrativo regionale della Sicilia, per chiarire le condizioni e la portata dei poteri di controllo dello Stato di approdo alle navi incaricate di ricerca e salvataggio in mare di persone migranti, così come le condizioni per il fermo di una nave. La Sea Watch aveva fatto ricorso proprio al Tribunale amministrativo regionale per l’annullamento dei provvedimenti di fermo delle navi Sea Watch 3 e Sea Watch 4 e dei rapporti ispettivi nei porti di Palermo e di Porto Empedocle un anno e mezzo fa.

    Dopo aver effettuato operazioni di salvataggio e aver sbarcato le persone salvate in mare, le due navi battenti bandiera tedesca erano state oggetto di ispezioni dettagliate a bordo da parte delle capitanerie di porto, dal momento in cui non erano qualificate per il servizio di ricerca e salvataggio e perché avevano raccolto a bordo un numero di persone “ampiamente superiore a quello certificato”. Le ispezioni hanno rivelato una serie di carenze tecniche e operative, alcune delle quali sono state considerate “causa di un rischio manifesto per la sicurezza, la salute o l’ambiente”.

    In merito al caso Sea Watch, l’avvocato generale Rantos ha ritenuto che la direttiva dell’UE 2009/16 si applica “a tutte le navi e relativi equipaggi che fanno scalo o ancoraggio nel porto di uno Stato membro per effettuare un’attività di interfaccia nave/porto” e che fra le navi usate per scopi non commerciali “sono escluse dall’ambito di applicazione di tale direttiva unicamente alcune categorie ben precise”. Per quanto riguarda le condizioni che possono giustificare un’ispezione supplementare, l’avvocato generale ha ritenuto “evidente” che una nave che trasporta sistematicamente un numero di persone superiore al numero massimo previsto in base ai suoi certificati “può rappresentare, in determinate circostanze, un pericolo per le persone, le cose o l’ambiente”. In questo caso, il giudice nazionale deve valutare in concreto i rischi, tenuto comunque conto dell’obbligo di salvataggio in mare secondo il diritto internazionale.

    Di qui la constatazione che “il semplice fatto che una nave eserciti l’attività di ricerca e salvataggio in mare in modo sistematico non esonera tale nave dal rispetto delle prescrizioni applicabili” in forza del diritto internazionale o dell’UE e “non impedisce che la nave sia oggetto di provvedimenti di fermo”, precisa l’avvocato generale.

    Tags: accoglienza migranticorte di giustizia dell'UemigrantiSea Watch

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