Bruxelles – Siamo sul filo del rasoio. Non è un’interpretazione da opinionisti, ma le esatte parole pronunciate questa mattina (lunedì 7 dicembre) dal premier irlandese, Michael Martin, che ha seguito da vicino i colloqui post-Brexit. Il “filo del rasoio” è una questione di tempo perduto (oltre due mesi di negoziati intensi andati a vuoto) e rimasto (solo 24 giorni) alla fine del periodo di transizione, il 31 dicembre. Ma è anche una realtà che tutti conoscono, ma che non si può pronunciare a voce alta: il no deal è ormai diventato più un’opzione da dover sventare in extremis, piuttosto che uno spauracchio remoto per arrivare velocemente a un accordo. “È una cosa seria, non credo si possa essere eccessivamente ottimisti sull’emergere di una soluzione”, ha aggiunto Martin.
Se non bastassero le parole del premier irlandese, a far calare una cappa scura su un possibile accordo è stato l’aggiornamento di stamattina da parte del capo-negoziatore, Michel Barnier, agli ambasciatori UE. “Le notizie che arrivano da Barnier sono pessime“, ha commentato il ministro degli Esteri irlandese, Simon Coveney, all’emittente Rte. “È stato molto cupo e molto cauto sulle possibilità di fare progressi oggi”. Rimangono critici i soliti tre nodi: pesca nelle acque britanniche, level playing field (insieme di regole e standard comuni che evitano un vantaggio competitivo delle imprese di un Paese) e governance (gestione dell’Accordo di recesso ed eventuali relazioni future). Indiscrezioni di fonti UE a The Guardian parlavano ieri di una “svolta” sulla questione della pesca, smentite però sia da Downing Street sia dal ministro degli Esteri irlandese: “Non è assolutamente ciò che abbiamo sentito questa mattina. Anche gli altri punti rimangono molto problematici”.
🇪🇺🇬🇧 Decisive hours for the future of EU-UK relations: EU Chief negotiator @MichelBarnier has started to brief EU Ambassadors about the current state of play of #Brexit negotiations. #COREPER pic.twitter.com/KOt3pImINL
— Sebastian Fischer (@SFischer_EU) December 7, 2020
I negoziati a Bruxelles
I negoziati sono ripresi ieri a Bruxelles dopo il colloquio telefonico di sabato tra la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il premier britannico, Boris Johnson. “Nessun accordo è fattibile se le tre questioni critiche non vengono risolte”, aveva commentato von der Leyen al termine del confronto. “Pur riconoscendo la gravità di queste differenze, abbiamo convenuto che i nostri team negoziali dovrebbero intraprendere un ulteriore sforzo”. Al termine della giornata di ieri, Londra ha definito “ridicole” le richieste avanzate dal team di Barnier e lo stesso capo-negoziatore ha confermato agli ambasciatori UE che non è stato fatto alcun progresso. “Al momento i colloqui sembrano in stallo e rimangono molti ostacoli”, ha aggiunto Coveney, ribadendo che “chiunque stia parlando di ripensamenti su una delle tre aree, non sta dando informazioni accurate”.
Oggi continueranno i colloqui con la controparte britannica guidata da David Frost, nella prospettiva di dare una sferzata definitiva prima del nuovo colloquio telefonico di oggi (alle ore 17) tra la presidente della Commissione e il premier britannico. Secondo il tabloid brexiteer The Sun, Johnson sarebbe pronto a concedere non più di altre 48 ore ai negoziatori per verificare la possibilità di progressi dell’ultimo minuto. Il portavoce della Commissione, Eric Mamer, ha commentato che “non facciamo speculazioni sulla data dell’ultima chance per arrivare a un accordo e alla ratifica”, perché “abbiamo sempre detto che la sostanza ha la priorità sulla tempistica”. In ogni caso, mercoledì sembra davvero prospettarsi come data ultima per una decisione – accordo o non accordo che sia – considerato anche il fatto che al prossimo Consiglio Europeo (in programma per giovedì e venerdì) la questione della Brexit dovrebbe occupare uno spazio importante.
Dai Ventisette stanno iniziando ad arrivare pressioni per chiudere a breve il negoziato. “Se si decidesse per il no deal, sarebbe meglio saperlo ora che a Natale”, ha dichiarato il ministro francese per gli Affari europei, Clement Beaune. “L’orizzonte temporale è molto stretto, una scelta dovrà essere fatta nei prossimi giorni”. Il ministro degli Esteri lussemburghese, Jean Asselborn, ha invece attaccato Boris Johnson, sostenendo che “se il Regno Unito assumerà la responsabilità del fallimento di questo negoziato, de facto lascerà l’Europa, perché sarebbe l’unico Paese senza un accordo commerciale”. Il portavoce della Commissione ha preferito non sbilanciarsi su “questioni geografiche, dal momento in cui il Regno Unito ha già abbandonato l’Unione Europea”.
Sempre per oggi è in programma un incontro politico tra il vicepresidente per le relazioni interistituzionali e le prospettive strategiche, Maroš Šefčovič, e il cancelliere del Ducato di Lancaster, Michael Gove (ministro senza portafoglio che agisce da braccio destro del premier Boris Johnson) sull’implementazione dell’Accordo di recesso, in particolare rispetto al protocollo sull’Irlanda del Nord. “Stiamo lavorando perché sia pienamente operativo dal 1° gennaio 2021”, ha commentato su Twitter lo stesso Šefčovič.
🇪🇺🇬🇧 I will meet @michaelgove today in Brussels to discuss the implementation of the Withdrawal Agreement, including the Protocol on Ireland and Northern Ireland. We are working hard to make sure it is fully operational as of 1 January 2021.
— Maroš Šefčovič🇪🇺 (@MarosSefcovic) December 7, 2020
L’ostacolo di Westminster
Mentre a Bruxelles si discute di come raggiungere un accordo post-Brexit, a Londra ci si sta già muovendo per superarlo. È prevista per oggi la ripresa dell’iter parlamentare alla Camera dei Comuni dell‘Internal Market Bill, il controverso disegno di legge sul Mercato interno che violerebbe sia l’Accordo di recesso del Regno Unito dall’UE sia il diritto internazionale. Lo scorso 9 novembre la Camera dei Lord aveva votato a favore della rimozione delle clausole della parte quinta disegno di legge, mettendo in chiaro che non condividerà con il governo la responsabilità di un’eventuale violazione degli obblighi internazionali. Ma l’ultima parola è proprio della Camera dei Comuni (in quanto unica assemblea elettiva), che sembra indirizzata verso lo strappo con Bruxelles. Il voto arriverà giovedì, ma secondo gli osservatori è scontato l’esito: sarà approvato il progetto del governo e saranno respinti tutti gli emendamenti della Camera alta.
Il punto più critico del disegno di legge riguarda il confine tra Irlanda del Nord e Repubblica di Irlanda (configurato nell’accordo del Venerdì Santo del 1998, che aveva sancito la fine del conflitto nell’isola). Secondo quando predisposto nell’apposito protocollo dell’Accordo di recesso, l’Ulster resterebbe temporaneamente all’interno dell’Unione doganale, evitando ripercussioni con la frontiera dell’Eire. In un secondo momento si dovrebbe definire meglio il funzionamento del confine. In modo del tutto unilaterale, Westminster sarebbe pronta a concedere invece al governo britannico di superare l’Accordo – come previsto dalla clausola 142 del disegno di legge – e portare anche Belfast al di fuori dall’Unione doganale il 1° gennaio 2021. L’approvazione dell’Internal Market Bill renderebbe del tutto superfluo il proseguo dei negoziati sull’Accordo di recesso, spezzando definitivamente la fiducia dell’UE nel Regno Unito.