Bruxelles – Stop all’uranio russo. Il nucleare europeo, se si vuole fare, deve basarsi su materie prime di altri Paesi. Il Parlamento europeo prova a mettere nuova, ulteriore, pressione sugli Stati membri affinché all’interno del Consiglio dell’Ue si scelga finalmente la strada dell’autonomia e dell’indipendenza energetica chiedendo la messa al bando dell’uranio russo, fin qui non toccato dalle sanzioni europee e risparmiato dalla proposta legislativa con cui la Commissione europea ha indicato la fine del 2027 per lo stop a tutti i contratti per l’import di gas e petrolio dalla Russia.
Eppure, nella roadmap per l’indipendenza energetica da Mosca illustrata dal commissario Ue per l’Energia, Dan Jørgensen, lo scorso 6 maggio, è stato incluso anche l’uranio. Ma l’esecutivo Ue per ora l’ha messo da parte: “Verrà affrontato in un secondo momento”, aveva confermato lo stesso commissario.
L’Aula del Parlamento non ci sta e dovrebbe votare già in occasione della sessione plenaria della prossima settimana la relazione – il cui approdo nell’emiciclo è segnato per lunedì 7 luglio – che mette in risalto la dipendenza ancora troppo forte dell’Unione europea con la Federazione russa. Il testo, di cui è relatrice la conservatrice Beata Szylo (Ecr), evidenzia che nel 2023 il 23,5 per cento dell’uranio consumato nell’Ue proveniva dalla Russia e il 30,1 per cento dell’uranio utilizzato nella flotta nucleare dell’Ue è stato arricchito dalla Russia. Per questo il Parlamento europeo “osserva con preoccupazione che il combustibile nucleare russo rimane presente sul mercato dell’UE, anche attraverso filiere di approvvigionamento indirette”.
Cresce l’Alleanza europea per il nucleare, anche l’Italia aderisce formalmente
Insomma, alla luce della situazione ancora in atto si ribadisce agli Stati membri “la necessità di diversificare le fonti di approvvigionamento di uranio e combustibile nucleare”, in nome di una coerenza a dodici stelle nelle intenzioni di indebolimento economico di Mosca e un suo ridimensionamento. Il che vuol dire però muoversi su uno scacchiere internazionale dai contorni tutt’altro che nitidi.
Tra i principali produttori di uranio al mondo, il Niger è diventato improvvisamente un interlocutore meno prevedibile e per questo meno affidabile, teatro di azioni sino-russe contrarie agli interessi europei. Mentre Kazakistan e Uzbekistan si trovano in quella parte di mondo storicamente e tradizionalmente sotto l’influenza russa. L’Ue sta provando ad avviare un nuovo capitolo nelle relazioni con i Paesi dell’Asia centrale, ma è tutta da costruire e rimessa alla prova dei fatti. Difficilmente Mosca vorrà vedere aumentare il peso europeo nell’area dell’Unione economica eurasiatica (UEE), che comprende anche Armenia, Bielorussia, Kazakistan e Kirghizistan.
Il Parlamento europeo però ci prova. Chiederà quel cambio di passo che finora non è stato registrato anche per ragioni pratiche. Prima di chiudere la strada all’uranio russo servono nuovi fornitori che al momento non sembrano esserci. A maggior ragione un invito a fare in fretta.