Bruxelles – Quasi 5 milioni di nuovi lavoratori, un raddoppio della domanda di lavoro nei settori europei dell’elettricità entro il 2050. È questo lo scenario tratteggiato dall’European Trade Union Institute (ETUI), il centro di ricerca e formazione indipendente della Confederazione sindacale europea, che ha analizzato l’impatto della transizione verde sull’economia del lavoro nell’UE e nel Regno Unito.
Ne emerge che, se nei prossimi 30 anni si passasse a un’economia completamente basata sulle energie rinnovabili, si andrebbe a sostenere la creazione di posti di lavoro in maniera sostanziale: la domanda dei datori di lavoro del settore dell’elettricità e dei loro fornitori subirebbe un incremento del 127 per cento, aggiungendo un totale di 4.600.000 nuovi lavoratori. Secondo il nuovo studio pubblicato dall’ETUI, questo aumento nell’economia del lavoro si dovrebbe verificare anche in assenza di misure politiche mirate per sostenere l’occupazione nella fase di adattamento alla transizione verde, secondo le linee dettate da Bruxelles.
“Capire la distribuzione temporale degli effetti netti sull’occupazione [guadagni e perdite di posti di lavoro, ndr] aiuterà a progettare politiche del lavoro e dell’istruzione che siano guidate non solo dal clima ma anche da considerazioni sociali”, ha sottolineato Martin Černý, uno dei sette co-autori. Nello specifico, il bilancio sulla transizione verde deve essere tracciato tra le perdite di lavoro causate dalla ristrutturazione dell’industria energetica basata sui combustibili fossili e i guadagni determinati dai settori delle energie rinnovabili.
Secondo lo scenario che considera la transizione al 100 per cento di energie rinnovabili entro il 2050, i Paesi membri UE che ne uscirebbero più rafforzati sarebbero Ungheria e Cipro (con un aumento dei posti di lavoro rispettivamente di oltre undici e dieci volte rispetto al 2015), seguiti da Lettonia (oltre sette volte), Lituania (quadruplicati) e Belgio (quasi triplicati). Solo la Romania vedrebbe una perdita di occupazione nei settori legati all’elettricità (-10 per cento). Secondo le proiezioni, l’impatto più positivo si dovrebbe riscontrare laddove attualmente sono presenti livelli “relativamente bassi” di diffusione delle energie rinnovabili (in altre parole dove il mix energetico è a prevalenza carbon-fossile). Per esempio, entro il 2050 a Cipro la maggior parte della produzione di elettricità dovrebbe essere prodotta attraverso eolico offshore e solare fotovoltaico residenziale, mentre in Ungheria con solare fotovoltaico, eolico e geotermico.
Analizzando lo scenario globale, la transizione al 100 per cento rinnovabile avrebbe un impatto più positivo rispetto all’ipotesi dello scenario minimo di rispetto degli obiettivi climatici ed energetici vincolanti sanciti dall’accordo di Parigi del 2015: in quel caso, tutte le regioni del mondo perderebbero posti di lavoro entro il 2050, fatta eccezione per l’Africa (+12 per cento) e l’UE con il Regno Unito (+3). Al contrario, stando alla pubblicazione dell’ETUI, il continente che beneficerebbe di più di una drastica transizione verde sul piano dell’economia del lavoro sarebbe proprio l’Europa (+127 per cento di nuovi posti di lavoro), seguita a distanza da Australia (+77), Africa (+60), Asia (+58), America Latina (+57), Medio Oriente (+39) e Nord America (+23).