Bruxelles – Niente di nuovo sotto il sole di Bruxelles, dove i capi di Stato e di governo dei Ventisette si sono riuniti oggi (26 giugno) per un vertice che, nonostante il numero di piatti sul tavolo dei leader, non prevede grossi scossoni rispetto alla linea politica degli ultimi mesi. Il consesso guidato da António Costa ha cominciato le discussioni parlando di difesa e sicurezza, dopo un cambio di scaletta dell’ultimo minuto dovuto a esigenze impreviste del presidente ucraino Volodymyr Zelensky, che si sarebbe dovuto collegare da remoto in mattinata.
Sul tema, i leader sono riusciti ad adottare le loro conclusioni a 27, tenendo dentro anche l’Ungheria di Viktor Orbán. Del resto, non si tratta di risoluzioni particolarmente forti. Nemmeno la lettera firmata da Ursula von der Leyen e Kaja Kallas alla vigilia del summit, che tracciava la strada in questo ambito così cruciale nella fase storica attuale, conteneva grandi novità.
La numero uno del Berlaymont e la sua vice indicano come prioritari il ricorso completo a tutti gli strumenti esistenti per “potenziare gli investimenti nelle capacità di difesa” (come la clausola di salvaguardia del Patto di stabilità, già attivata da 16 Paesi, e i prestiti dal fondo Safe da 150 miliardi), la costruzione di un “vero mercato della difesa” pan-europeo per rafforzare la base industriale dei Ventisette (obiettivo che passa per l’approvazione del programma Edip, attualmente in discussione dai co-legislatori), continuare a sostenere l’Ucraina e la sua industria militare e, infine, puntare sulle partnership coi Paesi terzi.

Ecco allora che pure il Consiglio europeo sottolinea la necessità di “continuare ad aumentare sostanzialmente la spesa per la difesa e la sicurezza dell’Europa, e di investire meglio insieme“. E, fa sapere un funzionario comunitario, ha incaricato la Commissione e l’Alta rappresentante di presentare una tabella di marcia per raggiungere l’obiettivo della prontezza comune in materia di difesa entro la fine del decennio.
Il riferimento dei Ventisette, oltre al piano ReArm Europe (incluso un ampio utilizzo del fondo Safe), è soprattutto all’impegno assunto dai membri Ue che fanno anche parte della Nato (23 Stati su 27) di aumentare le spese per la difesa al 5 per cento del Pil entro il 2035, messo nero su bianco al summit dell’Aia svoltosi ieri e l’altroieri.
La maggior parte dei leader si dichiara soddisfatta dall’esito del vertice, pur con le consuete sfumature. Per Dick Schoof, il padrone di casa, è stato “molto positivo” e si è raggiunto un “grande risultato”, mentre il suo omologo belga Bart De Wever comprende che “sia necessario” aumentare le spese in difesa, anche se non ne va entusiasta. Ma, sostiene, “abbiamo ottenuto le agevolazioni che abbiamo chiesto“: cioè più flessibilità, nessun percorso prefissato di crescita incrementale e la revisione al 2029.
Chi sembra aver portato a casa la vittoria più grossa in termini di agevolazioni è lo spagnolo Pedro Sánchez, che anche oggi ha rivendicato la bontà della battaglia condotta in sede Nato sul nuovo target del 5 per cento. “La Spagna è un Paese solidale, impegnato con gli Stati membri dell’Alleanza, ma anche sovrano“, ha dichiarato, ribadendo che per centrare gli obiettivi di capacità basterà il 2,1 per cento del Pil e non il 3,5 per cento sancito dalla dichiarazione congiunta firmata ieri dai 32 alleati.
Mantenere l’impegno assunto con la Nato – della quale, assicura l’inquilino della Moncloa, Madrid rimane un membro affidabile – è “assolutamente compatibile con l’impegno di sostenere e rafforzare lo Stato sociale in Spagna”. “La deterrenza è anche coesione sociale, non solo spendere di più in difesa”, ragiona il leader socialista.

Ad ogni modo, le cancellerie intendono “coordinarsi” sull’aumento dei loro budget militari, sottolineando la necessità di continuare a lavorare sulle “opzioni di finanziamento” e invitando i co-legislatori a prioritizzare la difesa negli imminenti negoziati sul prossimo budget pluriennale (Qfp) che andrà a coprire il periodo 2028-2034, così come nella revisione di medio termine della politica di coesione, nonché a chiudere rapidamente i file dell’Edip e dell’Omnibus della difesa.
Nelle conclusioni, i Ventisette invitano anche la Banca europea degli investimenti (Bei) a continuare nella sua revisione della lista delle attività che non possono ottenere finanziamenti (per accorciarla, s’intende), e ad “aumentare il volume dei finanziamenti” stessi, peraltro già accresciuto la settimana scorsa. Altro lavoro andrà profuso per aiutare le imprese, soprattutto startup e Pmi, nell’aumentare la loro produzione.
In realtà, il sostegno al ReArm Europe non è esattamente unanime tra le istituzioni comunitarie. I principali mal di pancia si registrano all’Eurocamera, con gli eurodeputati che vorrebbero portare i governi degli Stati membri di fronte alla Corte di giustizia perché rei di aver esautorato l’Aula di Strasburgo dal processo legislativo. Nelle prossime settimane, la presidente del Parlamento Roberta Metsola dovrà decidere se procedere e assestare una picconata (più politica che altro) al piano di riarmo continentale targato von der Leyen.