Bruxelles – La fatidica data del Budapest Pride è alle porte, e tutti stanno a guardare quali saranno le mosse del premier ungherese Viktor Orbán. Negli ultimi mesi è cresciuta la pressione bipartisan contro la decisione dell’autoritario leader magiaro di vietare la manifestazione pro-Lgbtq+, che tradizionalmente richiama decine di migliaia di partecipanti. Stavolta, a sfilare ci saranno anche politici da tutta l’Ue, Italia inclusa. Si temono infiltrazioni delle frange estremiste e scontri con la polizia.
È stata una settimana densissima nel Vecchio continente. E non è ancora finita. Dopo il Consiglio Affari esteri di lunedì (a guerra ancora aperta tra Israele e Iran), lo storico summit Nato dell’Aia di martedì e mercoledì e il vertice Ue di ieri (dalle cui conclusioni, peraltro, l’Ungheria continua a sfilarsi a piacimento), l’attenzione sarà tutta a Budapest domani (28 giugno), per quello che è senza dubbio il Pride più caldo di sempre.
La saga della marcia arcobaleno nella capitale magiara, ultimo tassello nell’eterna crociata del primo ministro Viktor Orbán contro la comunità Lgbtq+ e quella che definisce “propaganda gay“, è iniziata lo scorso marzo, quando l’Assemblea nazionale ha approvato un provvedimento ad hoc che bandiva di fatto la parata, la più partecipata iniziativa del genere nel Paese mitteleuropeo.

Tale norma, che si rifaceva ad una contestatissima legge del 2021 sulla tutela dei minori – di cui la Corte di giustizia Ue (Cgue) sta esaminando la compatibilità coi diritti fondamentali e le norme comunitarie, già messa in dubbio dall’avvocata generale Tamara Ćapeta – è poi stata rafforzata in aprile tramite un emendamento costituzionale che, tra le altre cose, codifica il divieto a organizzare eventi potenzialmente “dannosi” per i minori e autorizza le forze dell’ordine ad usare sistemi di identificazione biometrica come il riconoscimento facciale per individuare e multare i partecipanti a questi raduni proibiti.
Gli interventi delle istituzioni comunitarie e dei difensori dei diritti umani si sprecano. Una decina di giorni fa, il commissario alla Giustizia Michael McGrath ha ribadito l’altolà del Berlaymont contro la stretta sui diritti civili e le libertà fondamentali, ammonendo che l’esecutivo comunitario non ha paura di mettere mano al suo arsenale legale.
Negli ultimi giorni, si sono disturbati anche il Consiglio d’Europa (CdE) e, dulcis in fundo, la stessa Ursula von der Leyen, rimasta a lungo in silenzio sull’intera vicenda. Con un videomessaggio affidato a X, la presidente della Commissione ha chiesto alle autorità ungheresi di “consentire lo svolgimento del Budapest Pride” senza che organizzatori e partecipanti debbano temere “sanzioni penali o amministrative“.
I call on the Hungarian authorities to allow the Budapest Pride to go ahead.
Without fear of any criminal or administrative sanctions against the organisers or participants.
To the LGBTIQ+ community in Hungary and beyond:
I will always be your ally. pic.twitter.com/Wz0GBFRz8C
— Ursula von der Leyen (@vonderleyen) June 25, 2025
La mossa ha indispettito Orbán, che ha risposto bollando l’appello di von der Leyen come indebita ingerenza negli affari interni del governo e ha ribadito che chi parteciperà alla manifestazione lo farà consapevole di trovarsi in violazione delle leggi ungheresi, e dovrà pertanto assumersi la responsabilità legale delle conseguenze. Ma avrebbe anche chiesto agli apparati di sicurezza nazionali di astenersi dal ricorrere alla violenza per contrastare la parata, visto che gli occhi di tutta Europa saranno puntati su Budapest.
Lì, già da oggi pomeriggio, si stanno riunendo figure politiche e istituzionali di ogni ordine, grado e provenienza: dalle delegazioni di eurodeputati e parlamentari nazionali ai ministri dei Ventisette, passando per membri del CdE e della Commissione europea. Ci saranno, tra gli altri, la commissaria all’Uguaglianza Hadja Lahbib, alcuni capigruppo dell’Aula di Strasburgo (la socialista Iratxe García Pérez, la liberale Valérie Hayer e l’ecologista Terry Reintke) e anche diversi leader del panorama politico nostrano, come Elly Schlein (Pd) e Carlo Calenda (Azione).
“È inconcepibile che uno degli Stati membri dell’Unione europea vieti il Pride, manifestazione a difesa di diritti e libertà fondamentali che sono alla base dei valori europei”, commenta così l’europarlamentare dei Verdi Benedetta Scuderi. “Saremo a Budapest – continua la deputata – per dare il nostro supporto alla società civile ed alla comunità Lgbtqia+ ungheresi. Sarà una situazione delicata e complicata soprattutto dal fatto che Orban ha minacciato ripercussioni per organizzatori e partecipanti. Questo è inaccettabile, in generale e a maggior ragione a livello istituzionale”.
Per l’eurodeputata Carolina Morace (M5s), “non possono esserci compromessi con chi reprime apertamente le più elementari libertà“. “Chi nega i diritti fondamentali sanciti nei Trattati” come la libertà d’assemblea, l’uguaglianza e la dignità, dice, “va messo alla porta dell’Ue“. Non ci saranno, invece, membri di Tisza, il partito di Péter Magyar (parte dei Popolari europei) che punta a detronizzare Orbán alle elezioni della prossima primavera.

Promotori e fautori della manifestazione insistono sulla sua natura pacifica, ma non si possono escludere momenti di tensione con i partecipanti ad un’altra manifestazione, dell’estrema destra (organizzata dall’associazione giovanile Hvim), autorizzata dalla polizia sullo stesso itinerario del Pride, che tecnicamente non ha ricevuto il via libera dalle forze dell’ordine. Il sindaco della capitale, Gergely Karácsony, ha offerto all’evento pro-Lgbtq+ il patrocinio del comune per aggirare il divieto previsto dalle nuove norme nazionali, ma i contorni legali della questione sono ancora fumosi.
È chiaro invece che Orbán, orgogliosamente proclamatosi alfiere di una nuova concezione di “Stato illiberale“, sta prendendo a picconate da una quindicina d’anni l’intera impalcatura della democrazia ungherese, a partire dalle garanzie fondamentali. A preoccupare maggiormente Bruxelles c’è la versione magiara della famigerata legge sugli “agenti stranieri”, fatta con lo stampino su un provvedimento analogo in vigore dal 2012 nella Russia di Vladimir Putin per silenziare il dissenso.
Non senza una certa ironia, tra le varie motivazioni alla base del congelamento del percorso della Georgia verso l’adesione al club a dodici stelle c’è anche una norma di questo tipo. Il fatto che per un Paese membro dell’Ue sia possibile smantellare impunemente lo Stato di diritto – contro l’Ungheria è aperta dal 2018 una procedura ex articolo 7 del Trattato (che dovrebbe servire a sanzionare proprio questo tipo di violazioni), rimasta da allora incagliata al tavolo del Consiglio – la dice lunga sulla capacità di Bruxelles di salvaguardare i princìpi e i valori su cui si vorrebbe ancorato l’intero progetto comunitario, nonché sulla volontà politica delle cancellerie.











![[foto: Mattia Calaprice/Wikimedia Commons]](https://www.eunews.it/wp-content/uploads/2025/12/Imagoeconomica_1783367-120x86.jpg)