Bruxelles – Gli eurodeputati non mollano l’Ungheria. La democrazia magiara sta regredendo pericolosamente, avvertono i membri dell’emiciclo, sotto le picconate sferrate senza posa dal premier ultranazionalista e filorusso Viktor Orbán, intento a trasformare il Paese mitteleuropeo in uno Stato illiberale dalle marcate tendenze autoritarie.
Per la 30esima volta dal 2018, l’Aula di Strasburgo ha tenuto un dibattito sulla salute dello Stato di diritto in Ungheria, alla luce del progressivo smantellamento delle garanzie democratiche portato avanti dal primo ministro Viktor Orbán. A tenere banco anche oggi (18 giugno) è stata la crociata dell’autoritario leader contro la comunità Lgbtq+, il cui ultimo atto ha comportato la messa al bando del popolarissimo Budapest Pride, in calendario per il prossimo 28 giugno.

L’ennesima stretta sui diritti civili – che dà seguito ad un provvedimento ad hoc risalente allo scorso marzo – è tanto più grave perché è stata sancita a livello costituzionale grazie alla super-maggioranza che Fidesz, il partito del premier, detiene all’Assemblea nazionale (il Parlamento monocamerale ungherese). Lì, a metà aprile, i deputati hanno approvato la 15esima modifica della Carta fondamentale da quando Orbán è tornato al potere nel lontano 2010.
Il commissario alla Democrazia e alla Giustizia, Michael McGrath, ha ribadito di fronte all’Eurocamera che “l’Ue è fondata sulla libertà e l’uguaglianza e tutti dovrebbero avere la possibilità di essere chi sono, vivere liberamente e amare chi vogliono”. Quanto al Pride (dal quale “nessuno ha nulla da temere”), ha accolto positivamente l’iniziativa annunciata ieri dal sindaco della capitale, Gergely Karácsony, di offrire alla parata il patrocinio del municipio per aggirare il divieto imposto dal governo.
Ma “non possiamo ignorare che questa nuova legislazione ha già portato a decisioni della polizia per vietare un evento Lgbtq+ e a un tira e molla con la Corte suprema”, ha aggiunto, il che mette in discussione le fondamenta stesse del diritto comunitario. La Commissione aspetta il governo ungherese al varco, rinfrancata per il momento dal parere emesso a inizio mese dall’avvocata generale della Corte di giustizia (Cgue) circa la famigerata legge del 2021 sulla protezione dei minori, giudicata come un’eclatante violazione dei diritti fondamentali e di numerose normative europee.

Al momento, spiega McGrath, l’esecutivo a dodici stelle sta esaminando gli ultimi provvedimenti adottati dal Parlamento di Budapest, inclusi quelli sull’uso delle tecnologie di sorveglianza biometrica da parte delle forze dell’ordine, alla luce delle normative Ue sui dati personali e la privacy. E, ammonisce per l’ennesima volta, non esiterà “ad utilizzare tutti gli strumenti a sua disposizione per garantire che il diritto dell’Unione sia rispettato”.
Per la capogruppo socialista Iratxe García Pérez, “il regime autoritario di Orbán ha trasformato il potere in uno strumento di paura, di censura e di odio“. La deputata spagnola esorta la Commissione a chiedere alla Cgue misure provvisorie “per sospendere immediatamente la scandalosa legge sulla tutela dei minori“, e invita provocatoriamente i membri del Collegio a sfilare con gli europarlamentari a Budapest tra due weekend.
Nella capitale magiara ci sarà anche la pentastellata Carolina Morace che, dalle fila della Sinistra attacca: “Vietare il pride è l’ultimo atto della strategia repressiva di Orbán contro i diritti fondamentali“, insiste, “una sfida aperta ai valori su cui si fonda l’Ue“. Sulla stessa linea anche la co-leader dei Verdi, Terry Reintke, secondo la quale “attaccare il diritto di associazione significa attaccare la dignità umana“.
Sempre oggi, gli eurodeputati hanno adottato a larga maggioranza (405 voti a favore, 210 contrari e 36 astensioni) la valutazione dell’ultimo rapporto sullo Stato di diritto in Ue, pubblicato dall’esecutivo comunitario nel luglio 2024. In quell’occasione, l’allora commissario alla Giustizia Didier Reynders aveva spiegato che in Ungheria siamo di fronte ad “un vero e proprio problema sistemico“.

Nella sua relazione, l’emiciclo condanna lo scivolamento autoritario del Paese mitteleuropeo per quanto riguarda, tra le altre cose, le persistenti violazioni dei valori fondamentali dell’Ue e l’uso improprio dei fondi europei (a Bruxelles sono ancora bloccati qualcosa come 19 miliardi di euro per Budapest). Ed esorta il Consiglio a procedere con la procedura dell’articolo 7, incagliata al tavolo delle cancellerie da quando lo stesso Europarlamento la lanciò ormai sette anni fa.
“La democrazia si fonda sulla separazione dei poteri, sulla libertà di stampa, sull’accesso alla giustizia e sul rispetto delle libertà fondamentali“, ha ricordato la socialista portoghese Ana Catarina Mendes, relatrice dell’Aula sul dossier dello Stato di diritto. “Senza questi elementi”, avverte, “diventa una formalità vuota e si apre la strada all’autoritarismo“. E bacchetta anche l’Italia: dove, deplora, “i giornalisti vengono spiati“.
Ecco perché, dice Mendes, “questo Parlamento non può ignorare le minacce ai nostri valori”. Cioè appunto quelle in atto in Ungheria, dove “le libertà civili fondamentali delle persone Lgbtq+ sono sotto attacco“, dove la magistratura non è indipendente e si verifica “un forte attacco nei confronti della società civile, togliendo finanziamenti alle ong (si vedano le nuove norme sui cosiddetti “agenti stranieri“, ndr) e limitando il diritto di assemblea”.

Del resto, le ultime mosse di Orbán non arrivano certo come un fulmine a ciel sereno. Era stato lo stesso uomo forte di Budapest ad anticipare, in un famigerato discorso del 2014, la sua volontà di costruire in Ungheria uno “Stato illiberale” in opposizione al modello liberal-democratico, basato sulla tutela dei diritti individuali e delle libertà civili, sulla centralità dei corpi intermedi e sulla divisione dei poteri.
Leader e istituzioni dell’Ue erano stati avvisati, ma hanno comunque permesso che il cancro dell’autoritarismo metastatizzasse. Ora la misura sembra essersi colmata per tutti: Eurocamera, Commissione e Consiglio, dove parrebbe allargarsi il fronte anti-Orbán. La domanda, a questo punto, è se non sia già troppo tardi.